La sera del 16 settembre 1970, fra le 20.30 e le 21.00, Mauro De Mauro[1] lascia la redazione sportiva del giornale l’Ora, alla quale è stato assegnato da qualche mese capo-servizio. Lasciata la redazione del giornale, prima di tornare alla sua abitazione, il giornalista fece una sosta al bar Nobel di via Pirandello, sostandovi circa dieci minuti. La sosta al bar Nobel per De Mauro era una sua tappa abituale nel suo tragitto di ritorno verso casa. Ma quella sera aveva anche un motivo particolare per passare al bar, in quanto sua moglie Elda gli aveva raccomandato di acquistare un pacchetto di caffè, due pacchetti di sigarette e una bottiglia di vino francese.
L’ultima immagine di Mauro De Mauro ancora in vita, appartiene a sua figlia Franca, la maggiore delle sue due figlie che da lì a qualche giorno avrebbe dovuto convolare a nozze con il suo fidanzato Salvatore Mirto. Intorno alle 21.00, Franca e il suo fidanzato posteggiano l’auto vicino casa e si avviano in direzione del portone del civico 58, cioè nella parte più alta di via delle Magnolie, dove la famiglia De Mauro abita in un appartamento al secondo piano. Franca notò un’auto parcheggiata più avanti proprio in prossimità del portone con alcuni uomini a bordo. Uno di loro, che sedeva accanto al conducente, fece per uscire dall’auto ma fu trattenuto dall’altro. Poi la sua attenzione andò sulla BMW blu di suo padre. La vide posteggiare dal lato opposto della strada rispetto al portone. Insieme al suo fidanzato inizialmente rallentò il passo, prima di guadagnare il portone di casa, per entrare insieme al padre. Poi decisero di precederlo, per andare a chiamare l’ascensore, che, in effetti, era fermo al sesto piano. Dopo qualche minuto, poiché suo padre tardava ad arrivare, ritornò sui propri passi e uscì fuori dal portone, giusto in tempo per scorgere la BMW ripartire con uno strano movimento, a singhiozzo. C’erano delle persone a bordo, due o forse tre oltre al conducente. Franca vide soprattutto la faccia tesa e tirata di suo padre. Poi, l’auto andò via. Inizialmente, Elda e le figlie Franca e Junia, non pensarono che fosse successo qualcosa di grave consolandosi al pensiero che forse Mauro aveva incontrato degli amici o dei colleghi ed era dovuto correre per qualche servizio urgente. Ma con il passare del tempo la preoccupazione andò crescendo. Il giorno successivo, la mattina del 17 settembre 1970, la moglie Elda si recò in questura per sporgere denuncia, e, successivamente alla denuncia, scattarono subito le ricerche, in quanto, per le modalità del fatto, la polizia si rese subito conto che il giornalista fosse rimasto vittima di un sequestro. Ipotesi che divenne una certezza, quando la sera dello stesso 17 settembre venne rinvenuta la BMW di Mauro De Mauro. Più precisamente, verso le ore 22, il personale dipendente in Via Pietro D’Asaro, all’altezza del civico 26, rinvenivano l’auto del giornalista; l’automobile, si trovava regolarmente parcheggiata al marciapiede, con il senso di marcia rivolto verso Via Dante. Da questo momento, iniziarono le indagini dei Carabinieri e della Polizia.
Ancora prima di mettere le mani nelle indagini, i Carabinieri imboccarono con certezza la pista della droga; ritenevano infatti che il sequestro di Mauro De Mauro fosse maturato in ambienti mafiosi, disturbati nel traffico degli stupefacenti dall’attività del giornalista.
La Polizia andò in tutt’altra direzione: dopo due settimane di lavoro la squadra mobile di Palermo, informò il magistrato – con un rapporto del 3 ottobre 1970 – che
le investigazioni hanno per oggetto i seguenti fatti e situazioni, che possono costituire l’ambiente, la casuale o l’occasione del delitto:
In data 21 luglio il regista Francesco Rosi, della VIDES Cinematografica di Roma, aveva affidato al giornalista Mauro De Mauro l’incarico di fornire una ricostruzione documentata e particolareggiata delle due giornate trascorse in Sicilia dal presidente dell’ENI Enrico Mattei, prima della sua morte avvenuta, come è noto, il 27 ottobre 1962, in incidente aviatorio nel cielo di Milano. De Mauro aveva iniziato il lavoro prendendo contatto con uomini e altre persone che, per un motivo o per l’altro, erano in grado di fornire particolari sull’argomento. Si potrebbe ritenere che il giornalista, nel corso di tale lavoro o in occasione di esso, fosse venuto in possesso di notizie, rivelazioni o documenti, di rilevante importanza e comunque altamente compromettenti per qualche persona implicata in fatti dell’ENI o addirittura nella morte del presidente, qualora si desse per vera l’ipotesi, all’epoca avanzata da alcuni, secondo cui l’aereo di Mattei non precipitò per incidente, ma per sabotaggio. All’uopo sono stati svolti accurati ed estesi accertamenti, dei quali alcuni ancora in corso di espletamento, comprendenti, tra l’altro, l’interrogatorio di numerose persone, tra cui il regista Rosi, il regista Gallo, l’organizzatore cinematografico Notarianni, il dott. G. Ruffolo, giornalisti, congiunti e amici di De Mauro etc.. nonché l’esame attento degli appunti sull’argomento lasciati dal giornalista.
Mauro De Mauro, nella veste di inviato speciale dell’ORA, si è occupato attivamente e appassionatamente del caso giudiziario Tandoj, sia nella fase delle indagini di p.g. che in quella di riapertura dell’istruttoria condotta dal sost. proc. gen. Fici che, infine, in quella dibattimentale a Lecce. Si è presa perciò in considerazione l’ipotesi che della sua scomparsa potesse essere responsabile la delinquenza organizzata dell’Agrigentino, in particolare quella di Raffadali: all’uopo sono stati disposti, in collaborazione con la questura di Agrigento, capillari e approfonditi accertamenti che allo stato inducono a propendere per una soluzione negativa.
Il De Mauro si è occupato a suo tempo, quale giornalista dell’ORA, della mafia di Alcamo e, in particolare, del processo a carico dei famigerati Rimi Vincenzo e Filippo, in atto detenuti. A tal fine è stata disposta, in collaborazione con la polizia di Trapani e Alcamo, un’indagine tesa ad accertare la presenza in Alcamo di elementi già facenti parte del gruppo Rimi, riorganizzati e disposti a compiere una vendetta per conto dei predetti condannati. Allo stato non sono emersi elementi atti a far ritenere la sussistenza di un fatto del genere.
Il giornalista scomparso si è mostrato sempre particolarmente attento al fenomeno criminoso del traffico della droga: si è posto pertanto vivo interesse investigativo nel tentare di accertare se De Mauro, per apposita ricerca, per confidenza ricevuta, oppure per caso, non avesse acquisito informazioni o documentazione probatoria sull’argomento, da indurre gli interessati al traffico a eliminare una siffatta pericolosa fonte di eventuali accuse. Quest’ufficio, pur non sottovalutando l’estrema difficoltà di un’indagine in tal senso, pur avendo serie perplessità sulla possibilità avuta dal De Mauro di penetrare sì a fondo nel mondo dei trafficanti di droga tanto da rendersi necessaria od opportuna la sua soppressione, ha dato l’avvio a un’approfondita opera investigativa tesa a stabilire la sussistenza o meno di una simile casuale.
Sembra che negli ultimi mesi De Mauro avesse mostrato un qualche interessamento alla realizzazione di complessi alberghiero-turistici in atto in opera nei territori di Terrasini e Capaci-Isola delle Femmine e, pertanto, non sono stati trascurati opportuni accertamenti in merito che, però, non hanno sortito effetti utili alle indagini.
Tra le più disparate congetture e ipotesi è stata delineata anche quella attinente alla mafia locale e, in particolare, a quei gruppi mafiosi direttamente o indirettamente interessati al settore dell’edilizia i cui grossi e contrastanti interessi sono spesso sfociati in gravi atti di criminalità. Si è ritenuto che il De Mauro, anche in tale campo, avesse potuto entrare in possesso di informazioni provate su fatti, uomini o situazioni di tale pericolosa rilevanza da portare gli interessati all’eliminazione del depositario. Le indagini in tal senso sono in via di attuazione.
È in doverosa e attenta considerazione l’ipotesi che il De Mauro, in esito a inchieste giornalistiche o in occasione di esse o, comunque, per qualsiasi altro motivo, avesse acquisito notizie, informazioni, confidenze, prove o altro di fatti illeciti, situazioni scabrose, legami particolari o altre cose del genere, utilizzati o da utilizzare per suo tornaconto personale in danno degli interessati. Ciò avrebbe potuto provocare la reazione difensiva o vendicativa di chi si fosse visto in pericolo nella sua libertà, nella sua reputazione od onore. Allo stato non esistono elementi concreti o fondati tali da far ritenere possibile una siffatta casuale: comunque, nella vasta gamma delle ipotesi che il grave delitto in argomento ha fatto prospettare, neanche questa è stata trascurata o sottovalutata.
Dunque, il dirigente della squadra mobile informò il magistrato che “la pista Mattei” era la sola ipotesi investigativa seria e concreta.
L’ipotesi che veniva coltivata con più convinzione dagli inquirenti, o almeno dalla squadra mobile che aveva la conduzione delle indagini, è quella della “pista Mattei”. E nell’ambito di questo filone d’indagine, che la polizia sollecitò l’emissione di idonei provvedimenti restrittivi nei riguardi del noto commercialista e titolare di uno studio di consulenza tributaria: il ragioniere Antonino Buttafuoco.
Uomo di vecchio stampo, Buttafuoco era il commercialista della famiglia De Mauro. Il giorno stesso del rapimento, quando ancora nessuno sapeva nulla della scomparsa di Mauro De Mauro e i mezzi di comunicazione non avevano ancora diffuso la notizia della sua scomparsa, Buttafuoco telefonò alla famiglia De Mauro chiedendo se ci fossero delle novità su Mauro; il 20 settembre 1970, si presentò a casa dei familiari per parlare con la signora Elda. Chiese come stessero proseguendo le indagini, se fossero stati trovati e prelevati dei documenti, in particolare chiese se fosse stata trovata una busta arancione (la quale, secondo alcuni, conteneva il materiale concernente il “caso Mattei”). L’interessamento insistente di Buttafuoco è certamente sospetto, e l’impressione che ne ricava la famiglia è quello che il commercialista sappia qualcosa sulla scomparsa di Mauro De Mauro, e che, probabilmente, stia agendo come tramite per qualcuno. I sospetti si fanno sempre più forti, quando Buttafuoco, durante un colloquio con la famiglia, iniziò ad elencare quelli che potevano essere i possibili moventi e iniziò a dire: Agrigento no; droga no; mafia no; caso Tandoj no; ENI….per questa ipotesi lasciò in sospeso la frase. Buttafuoco insistette con Elda affinché si faccia dare dagli inquirenti i nomi dei sospettati sui quali stanno indagando. La signora Elda, avendo informato gli inquirenti del comportamento sospetto di Buttafuoco, si recò in questura da Boris Giuliano e da Bruno Contrada i quali appartenevano alla squadra mobile della polizia. I due, dissero alla signora Elda di suggerire di proposito a Buttafuoco dei nominativi di scarsa importanza per l’indagine. Il 26 settembre a casa dei De Mauro venne recapitato un nastro; vi è inciso un messaggio di Mauro per i familiari. Una voce contraffatta diceva: “De Mauro è vivo. Non gli facciamo del male, vogliamo solo chiacchierargli bene”. Quello stesso giorno, Buttafuoco chiamò i De Mauro, e chiese se fosse arrivato un messaggio; la circostanza è sospetta, in quanto nessuno, a parte la famiglia e le autorità, sapevano del messaggio che venne recapitato. A questo punto, venne deciso di intercettare le telefonate di Buttafuoco, ma è molto difficile ascoltarlo, in quanto il ragioniere chiamava sempre da telefoni pubblici. Ma una frase viene registrata: “dite agli amici di Trapani di stare tranquilli”. Secondo il vicequestore di Palermo Angelo Mangano, Buttafuoco aveva i suoi legami con la mafia: a dimostrare questo fatto sono – ad esempio – le visite che il ragioniere fece in un ospedale di Roma al boss mafioso Luciano Liggio, ricoverato sotto falso nome. Luciano Liggio non era l’unico personaggio con il quale Buttafuoco aveva particolari legami. Un altro è Vito Guarrasi, ufficiale dell’esercito durante la guerra, spia dei servizi segreti, confidente della CIA e, infine, imprenditore. Dal 1960, Guarrasi fu anche consulente per l’ENI di Enrico Mattei in Sicilia, ma la collaborazione finì presto; Guarrasi, però, ritornerà a ricoprire il ruolo di consulente per l’ENI dopo la scomparsa di Mattei.
Quando Buttafuoco – ormai sempre più sospetto – verrà arrestato, gli inquirenti erano certi che l’uomo porterà alle indagini degli sviluppi importanti. Tra i responsabili del rapimento di Mauro De Mauro, secondo gli inquirenti ci sarebbe anche un misterioso MISTER X; un uomo che Buttafuoco aveva cercato – con una telefonata – in maniera insistente a Parigi. Secondo le voci che si diffusero sulla stampa, il MISTER X era l’avvocato Vito Guarrasi. Scattò anche per lui un mandato di cattura; la Polizia era pronta a emanare un comunicato il 14 novembre 1970. Stranamente, però, quel giorno non accadde nulla: un comunicato venne emesso, ma veniva detto che Buttafuoco poteva uscire di prigione e le indagini si dovevano interrompere.
Intanto i Carabinieri, comandati dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, svolsero le indagini seguendo con decisione la pista della droga. Il Generale si rifiutava di seguire la pista che collegava la morte di Enrico Mattei al rapimento di Mauro De Mauro, in quanto egli stesso diceva che fosse assurda questa ipotesi, poiché se la morte del presidente dell’ENI fosse stata provocata da un atto di sabotaggio al suo aereo, ciò implicava che la morte di Mattei fosse un delitto di Stato, e il Generale si rifiutava di andare contro lo Stato. Dalla Chiesa, dunque, sembrava rifiutare a prescindere la pista Mattei, forse perché non poteva accettare l’idea che all’interno delle istituzioni del Paese potesse maturare l’organizzazione di un omicidio politico. Il Generale, inoltre, cercava di convincere la famiglia De Mauro a lasciar perdere le ipotesi che riconducevano a personalità legate alla politica e all’ENI.
Franca De Mauro dichiarò che circa “le indagini sulla scomparsa di mio padre ricordo che il comportamento dei Carabinieri e in particolare quello di Dalla Chiesa, fu molto ambiguo. Dalla Chiesa si comportò con noi come se dovessimo nascondere qualcosa. Egli continuava a sostenere insistentemente che papà era scomparso perché si stava occupando di mafia e droga nella zona di Terrasini e che noi non volevamo ammetterlo. Io ricordo perfettamente che papà era stato a Terrasini nell’estate del 1970, ma era stato insieme a noi ospite del cognato di Gigi Di Gregorio: un amico mio e del mio fidanzato. Dalla Chiesa non voleva sentire parlare di ENI e della pista Mattei. Egli le trattava come sciocchezze delle quali noi eravamo ingiustamente infatuati. Ricordo che il giorno dopo il rapimento di papà, prima che giungessero a casa gli inquirenti, quando noi avevamo solo sporto denuncia in Questura, venne a casa Fantozzi, amministratore dell’ORA e consigliò a noi e a me in particolare di non parlare con la polizia, ma di riferire eventuali segreti o notizie riguardanti nostro padre solo ai Carabinieri e a Dalla Chiesa. Io mi rifiutai di seguire il consiglio di Fantozzi, dicendogli chiaramente che avrei detto tutto sia alla Polizia e sia ai Carabinieri.”
Tullio De Mauro, fratello di Mauro, dichiarò che “in una conversazione con l’allora colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale coordinava le indagini dell’Arma sulla sparizione di mio fratello, io ero stato colpito da quanto l’alto ufficiale mi aveva detto e cioè: ma no professore, questa è criminalità, questi sono criminali, suo fratello si occupava di droga e poi aggiunse caro professore, la mafia non esiste. Alcuni giorni addietro mia cognata Elda mi ha riferito di un episodio di cui io non ero a conoscenza e che riguarda sempre i nostri rapporti con il Colonnello Dalla Chiesa. Poco prima del definitivo trasferimento di mia cognata a Roma, avvenuto nel mese di gennaio 1971, Dalla Chiesa si recò a casa sua per salutarla e in quell’occasione mia cognata disse di non riuscire a spiegarsi tutto ciò che aveva coinvolto la sua famiglia, senza ipotizzare interventi dall’alto. Dalla Chiesa le rispose: cara signora, che vuole, che io vada contro lo Stato? Io non vado contro lo Stato.”
Dunque, l’Arma dei Carabinieri era decisa a ignorare totalmente la pista Mattei, nonostante sia la famiglia e sia diversi conoscenti di Mauro De Mauro, avevano dichiarato che il giornalista aveva confidato loro che stava svolgendo delle ricerche sugli ultimi due giorni di vita di Enrico Mattei in Sicilia e che presto avrebbe realizzato un importante servizio sul “caso Mattei”, avendo scoperto, su questo caso, una circostanza molto importante. È soprattutto la figlia Junia a ricordare che il padre Mauro stava lavorando con decisione al “caso Mattei” e faceva – conversando con la moglie e con le figlie – precise allusioni alla morte del presidente dell’ENI.
Junia De Mauro aveva invece raccontato alla polizia, e al magistrato di Palermo, cosa il padre aveva aggiunto. È opportuno riportare testualmente tali dichiarazioni.
Il 24 settembre 1970, dinanzi al commissario Boris Giuliano: “… Un giorno, sempre del mese d’agosto o dei primissimi del mese in corso [14 settembre 1970], a tavola, mio padre per nulla preoccupato, ma euforico e inorgoglito mi dice, sempre premettendo di mantenere il più assoluto riserbo su queste cose, di essere a conoscenza di un fatto importantissimo e inedito. Cioè che Mattei due ore prima di partire da Catania s’era incontrato o aveva visto o aveva saputo di due persone, di cui non sono in grado di ricordare il nome, ma che comunque, se ben ricordo, mi suonarono familiari. Dico questo non perché li conoscessi, ma perché dovevano essere personaggi noti per qualsivoglia motivo …”.
Il 1° novembre 1970 Junia De Mauro tornò a parlare dell’episodio raccontato a Boris Giuliano, con Bruno Contrada: “… al termine del pranzo, mentre mia madre era occupata per le faccende domestiche e mia sorella s’era allontanata per telefonare o per fare qualcosa d’altro, mio padre mi disse di essere a conoscenza di un ‘fatto grossissimo’ relativo alla vicenda Mattei. Nell’occasione mi ricordò che Mattei, pur tenendo abitualmente nascosto l’orario della partenza, anche ai suoi intimi collaboratori, due ore prima di partire per Milano aveva informato dell’esatta ora di partenza con l’aereo, oltre il pilota, soltanto due persone, di cui mi fece i nomi, che mi suonarono familiari e conosciuti, ma che in atto non ricordo. Per uno di essi mio padre aggiunse la carica o il titolo, che allora o attualmente ancora portava o porta. La confidenza di mio padre venne interrotta bruscamente dal rientro nella stanza di mia sorella Franca”.
Junia De Mauro trascrisse nel diario non solo il racconto del padre, ma anche le parole di Contrada: “<<signorina De Mauro>>, chiese il commissario Contrada, mentre firmavo le copie del verbale <<si rende conto che, con questa dichiarazione, incanala le indagini verso un’unica e inequivocabile pista?>>. <<Si>>”>.
Il 17 marzo 1971, dinanzi al giudice istruttore dottor Fratantonio, la giovane De Mauro aggiunse ulteriori particolari: “Ricordo che quel giorno, allorché mio padre mi disse i nominativi di quelle due persone, io, ritenendo per un momento che l’ENI fosse una monarchia con successione ereditaria, obbiettai a mio padre le seguenti parole, riferendomi a una delle due persone, ‘ma a lui cosa gliene viene?’.
Mio padre stupito di rimando: ‘Come che gliene viene?!’.
E mia madre che era presente rilevò: ‘Perché? Quando morì Kennedy non fu forse Johnson, il vice presidente, a prendere il suo posto?’.
Con tale ricostruzione sono in grado di affermare, con sicurezza, che mio padre addossava precise responsabilità sulla morte di Mattei all’attuale presidente dell’ENI, Eugenio Cefis. Desidero precisare che mio padre non fece esplicitamente il nome Cefis, ma disse testualmente: ‘attuale presidente’.
Nonostante i miei sforzi, continuo a non ricordare il nome dell’altra persona”.
Insomma, famigliari e Polizia erano convinti della pista Mattei. Ugo Saito, Pubblico Ministero, nel 1998 disse che “noi, con la polizia, ritenevamo, con assoluta certezza, che De Mauro era stato eliminato perché aveva scoperto qualcosa di eccezionalmente rilevante relativamente alla morte di Enrico Mattei. Ritenevamo che il Ragionier Buttafuoco altri non era che l’ultimo anello di una catena che faceva capo ad Amintore Fanfani e alla sua corrente.” L’ipotesi, infatti, era che Mauro De Mauro avesse scoperto il coinvolgimento di Guarrasi nel presunto attentato a Mattei, il quale, Guarrasi, era legato agli interessi politici e imprenditoriali di Fanfani e Eugenio Cefis, rientrato nell’ENI, così come Guarrasi, appena dopo la morte del fondatore dell’ENI.
La sentenza della Corte d’Assise
Il 10 giugno 2011, al termine della terza inchiesta sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, la procura di Palermo sostiene che il giornalista dell’ORA è stato sequestrato e messo a tacere per quello che ha potuto scoprire sulla scomparsa di Enrico Mattei. Gli inquirenti, hanno indicato la pista Mattei come la più verosimile (e, quindi, convalidandola) a spiegare la soppressione di Mauro De Mauro. Ciò in quanto la procura di Palermo, nelle nuove indagini sul caso De Mauro, ha ripercorso le indagini del Dott. Vincenzo Calia sulla morte di Enrico Mattei, giudicando la tesi dell’attentato sostenuta dalla procura di Pavia suffragata da un compendio notevole di prove documentali, orali e tecnico scientifiche. Infatti, le indagini del PM Calia, sembrano aver dato corpo alla tesi dell’esplosione in volo dell’aereo: sui pochi reperti superstiti del Morane-Saulnier 760, e sull’orologio in oro e sull’anello in oro che Enrico Mattei indossava al momento della morte, sono state eseguite delle complesse perizie metallografiche e frattografiche dal Prof. Ing. Donato Firrao del Politecnico di Torino. Gli esami del consulente tecnico, dicono che quei reperti hanno subito l’azione dell’onda d’urto generata da una carica esplosiva che sarebbe stata posta all’interno del cruscotto dell’aereo, e azionata, verosimilmente, dal comando che permetteva al carrello di fuoriuscire.
….anche se….
Recenti studi, hanno messo in dubbio la tesi del sabotaggio, e, dunque, è stata messa in dubbio la tesi dell’attentato. Nell’indagine del Dott. Calia, sembra rivestire molto importanza la tesi della presenza dei due Morane-Saulnier 760 che appartenevano, a quel tempo, alla flotta aziendale dell’ENI, e che si distinguevano soltanto per le marche di registrazione (I-SNAI e I-SNAP). Il magistrato nella sua ricostruzione dei fatti, sostiene che il 26 e il 27 ottobre 1962, entrambi gli aeromobili erano presenti in Sicilia. L’I-SNAP sarebbe stato sabotato con una bomba collegata al circuito che consentiva al carrello di fuoriuscire durante la notte tra il 26 e il 27 ottobre 1962. La mattina del 27 ottobre, mentre l’I-SNAP sarebbe rimasto fermo per tutto il tempo fino alla sua partenza per Linate avvenuta alle 16,57, l’I-SNAI avrebbe effettuato un volo Catania-Gela-Gela-Catania. Nuovi documenti, che testimoniano i movimenti sia dell’unico pilota che avrebbe potuto pilotare il secondo Morane-Saulnier 760 (Com.te Ferdinando Bignardi) e sia dell’aeromobile I-SNAI, dimostrano l’assenza sia del pilota che di quello specifico aereo nei giorni 26 e 27 ottobre 1962. Se ne deduce che il volo Catania-Gela e ritorno deve essere attribuito all’I-SNAP. Orbene, se I-SNAP ha volato la mattina del 27 ottobre 1962 senza esplodere estraendo per ben due volte il carrello per atterrare, non è possibile il fatto che un ordigno sia stato collegato la notte precedente al circuito che permetteva al carrello di fuoriuscire.[2]
La tesi della contemporanea presenza dei due Morane-Saulnier 760 in Sicilia, viene recepita e accettata anche dagli inquirenti della Procura di Palermo. Infatti, nelle pagine della sentenza della Corte d’Assise, nelle quali dove vengono ricostruiti gli spostamenti di Mattei nei suoi ultimi due giorni di vita, si legge:
Restano però le risultanze dell’indagine di Pavia sul buco di alcune ore nei movimenti di Mattei e il riscontro documentale dell’arrivo all’aeroporto palermitano di Boccadifalco intorno alle 11:55 del jet pilotato da Bertuzzi con due passeggeri a bordo. Rileva al riguardo il p.m. Calia nelle sue richieste conclusive, che le testimonianze di Paolo Iocolano, Vito Costantini, Domenico di Mauro ed Emanuele Comelli, pur con le comprensibili imprecisioni, consentono invece di ipotizzare che Mattei, atterrato a Ponte Olivo verso le 10.26 del 26 ottobre 1962, proveniente da Ciampino, sia poi nuovamente decollato con Bertuzzi e l’I-SNAP, per tornare infine a Gela solo intorno alle 14.30 del 26 ottobre 1962. Dal registro del traffico aereo di Palermo Boccadifalco risulta che l’I-SNAP era atterrato in quell’aeroporto alle ore 11.55 del 26 ottobre 1962, proveniente da Palermo Punta Raisi con due passeggeri. Bertuzzi era poi ripartito con l’I-SNAP da Boccadifalco per Ponte Olivo (Gela), con tre passeggeri: D’Angelo, Verzotto e Corallo. La partenza in aereo di Mattei dopo il primo atterraggio a Gela, il volo di Bertuzzi da Punta Raisi a Boccadifalco con due passeggeri non identificati (ma tra i quali non potevano esserci né D’Angelo né Verzotto né Corallo), l’assenza di notizie che documentano l’attività di Mattei tra le ore 11,00 e le ore 14,30 del 26 ottobre 1962, sono da considerarsi ragionevoli indizi (mai approfonditi né mai evidenziati in passato) che, con l’accertata contestuale presenza dei due Morane-Saulnier della SNAM in Sicilia, fanno ritenere non improbabile che Mattei si sia segretamente incontrato con qualcuno a Palermo e sia poi rientrato a Gela con l’I-SNAI intorno alle 14.30.[3]
L’assenza di I-SNAI e il fatto che I-SNAP abbia effettuato un volo nella mattina del 27 ottobre 1962, compromette in larga misura le modalità del sabotaggio ipotizzate dal PM Calia, poiché se I-SNAP non è stato sabotato la notte precedente, è certamente difficile supporre che sia stato sabotato durante la mattina del 27 ottobre, sostanzialmente per due ragioni: l’aereo – per stessa ammissione di Calia – rimase sotto la sorveglianza di Bertuzzi in maniera diretta e continua; installare una bomba collegata al circuito che permette al carrello di fuoriuscire richiederebbe, per un tecnico, diverse ore di lavoro, e, inoltre, dovrebbe lavorare in condizioni tali da non essere visto da nessuno.[4]
Ammettere l’assenza di una bomba sull’I-SNAP significherebbe ammettere l’inesistenza del complotto di cui sarebbe rimasto vittima Enrico Mattei. Ciò potrebbe consentire di mettere in discussione anche le argomentazioni della corposa sentenza della Corte d’Assise del Tribunale di Palermo, la quale, escludendo tutte le altre ipotesi, ha convalidato la pista Mattei, avendo i giudici accettato la ricostruzione del Dott. Calia e la tesi del sabotaggio. Gli inquirenti della procura di Palermo, ammettono che per convalidare la pista Mattei nel caso De Mauro, bisogna necessariamente dimostrare che la morte del fondatore dell’ENI non sia dovuta ad un tragico disastro aereo, ma ad un attentato pianificato. Nelle motivazioni della sentenza si legge:
L’ipotesi che riconduce la causale del sequestro e dell’uccisione di Mauro De Mauro all’indagine che il giornalista stava conducendo sulla morte di Enrico Mattei postula che il Presidente dell’ENI non sia morto in un incidente, essendo invece la sciagura di Bascapè l’effetto di un attentato, dissimulato dietro le apparenze di un mero incidente. Tale assunto è una premessa logico-fattuale ineludibile e con la quale dobbiamo quindi confrontarci nell’esplorare la c.d. “pista MATTEI”. Ed invero, se De Mauro è stato ucciso per impedirgli di fare rivelazioni sensazionali sul caso MATTEI, chi ha decretato la sua morte lo ha fatto per scongiurare il rischio che venisse alla luce una verità diversa dalla versione ufficiale secondo cui l’I-SNAP pilotato da Irnerio Bertuzzi e con a bordo il presidente dell’ENI e il giornalista della rivista Time, William Mc Hale, precipitò la sera del 27 ottobre 1962 per cause accidentali.[5]
….e quindi?
Mauro De Mauro certamente si stava occupando del “caso Mattei” quando è stato sequestrato. Su questo non ci sono dubbi. Ma è stato messo a tacere perché scoprì qualcosa sulla morte di Mattei e sulle due ultime giornate di vita del fondatore dell’ENI trascorse in Sicilia? Forse sì, forse no. È pur vero che De Mauro avrebbe anche potuto scoprire qualcosa di importante su un altro episodio poco chiaro della storia della Prima repubblica: il golpe Borghese.
Infatti, un’altra tesi nel “caso De Mauro”, emersa in anni più recenti grazie a delle dichiarazioni fatte da alcuni pentiti di mafia, tra cui Francesco di Carlo e Gaspare Mutolo, è quella del golpe Borghese. Secondo questa tesi, De Mauro sarebbe stato rapito dalla mafia a causa di quello che avrebbe scoperto sul golpe Borghese, ossia sul tentato colpo di stato organizzato dal principe Junio Valerio Borghese con la collusione di alcuni reparti dell’esercito italiano. L’obiettivo era quello di prendere il controllo dell’Italia rovesciando il governo. Il tentato golpe venne messo in atto tra la notte del 7 e dell’8 dicembre 1970, ma, per ragioni che non sono mai state chiarite, Borghese diede all’improvviso l’ordine di annullare tutto. Nell’operazione avrebbe avuto un ruolo di supporto anche la mafia, a cui Borghese aveva promesso in cambio dell’aiuto nella realizzazione del colpo di stato, l’annullamento degli ergastoli e dei processi a carico di diversi componenti di Cosa Nostra. De Mauro, stando a quanto dichiarato da Francesco di Carlo e da Gaspare Mutolo, avrebbe scoperto tre mesi prima il progettato colpo di stato e la collaborazione della mafia in tale progetto sovversivo. Per evitare che egli rivelasse tutto quello che aveva scoperto e impedirgli di conseguenza di compromettere l’operazione, si decise di metterlo a tacere.
Qual è, dunque, la vera verità sulla fine di Mattei e di De Mauro dopo anni di indagini e inchieste giornalistiche? Nessuna. La vera verità, è che, per quanto riguarda il “caso Mattei” e il “caso De Mauro”, le tre verità, quella giuridica, storica e giornalistica, si sono negli anni, oramai, troppo intrecciate tra di loro, e quindi, forse, è impossibile stabilire, dopo tanti anni, una versione ultima e definitiva.
[1] Mauro De Mauro nacque a Foggia il 6 settembre del 1921. Conclusi gli studi liceali si avvicinò al fascismo e iniziò allo stesso tempo a intraprendere il mestiere di giornalista. Con l’inizio della Seconda guerra mondiale De Mauro, nel 1941, venne chiamato ad arruolarsi. L’8 settembre 1943 prese parte nella Decima Mas, il reparto guidato dal principe Junio Valerio Borghese. Durante gli ultimi due anni della guerra De Mauro si trovava a Roma dove, pare, abbia collaborato con i nazisti. Sembra anche che abbia partecipato all’eccidio delle Fosse Ardeatine, e venne per questo processato davanti alla corte d’Assise di Bologna nel 1947, ma venne assolto per insufficienza di prove. In seguito De Mauro scappò a Palermo, dove diede inizio alla sua nuova vita abbandonando il suo passato fascista, e divenne un importante cronista per il quotidiano l’Ora. (cfr. GIUSEPPE PIPITONE, Il caso De Mauro. Così scompare un giornalista: un mistero lungo 41 anni, Lavis, Editori Riuniti, 2012, pp. 33-44).
[2] LUPO RATTAZZI, Il “caso Mattei”: come si fabbrica un attentato inesistente, reperibile sul sito www.casomattei.com.
[3] Tribunale di Palermo, Sentenza della Corte D’Assise, Procedimento De Mauro, p. 1283.
[4] LUPO RATTAZZI, op. cit.
[5] Tribunale di Palermo, Sentenza della Corte D’Assise, Procedimento De Mauro, p. 1159.

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