L’Unione Sovietica
Gli accordi tra l’ENI e l’Unione Sovietica sono stati interpretati dalla gran parte dei biografi di Enrico Mattei come un’azione audace e solitaria del presidente dell’ENI, contribuendo a rafforzare quell’immagine del manager italiano, che fa fatica a dissolversi, di cavaliere solitario che conduce in proprio una politica estera autonoma, frutto solo della sua intraprendenza e della sua spregiudicatezza.[1] In realtà alla luce di un’analisi più attenta dei fatti, si può constatare che gli accordi tra l’ENI e l’URSS sono il risultato di una azione svolta non solo da Mattei, ma anche da altri importanti esponenti politici, che diedero, inoltre, anche un importante appoggio politico al presidente dell’ENI.
Le ragioni che spinsero l’ENI a raggiungere un’intesa commerciale con l’Unione Sovietica sono tre: la necessità dell’ente italiano di approvvigionarsi di petrolio a basso costo, per avere la possibilità di abbassare il prezzo della benzina; avere una disponibilità più alta di greggio da raffinare; dipendere meno dalle forniture più costose della Standard Oil of New Jersey e della British Petroleum.
L’ENI raggiunse un primo accordo con l’Unione Sovietica nel 1958. L’accordo venne incoraggiato e spalleggiato dall’ambasciatore italiano a Mosca, Luca Pietromarchi, che cercò di far capire al presidente dell’ENI i benefici che sarebbero potuti derivare da un aumento delle importazioni di petrolio dall’Unione Sovietica. L’URSS offriva la possibilità di far pagare il suo greggio non con il denaro ma con delle merci di cui l’Unione Sovietica aveva bisogno per le sue industrie. Dunque con le importazioni di greggio da parte dell’ENI si sarebbero potute aprire le porte del mercato sovietico alle altre aziende italiane, che avrebbero avuto la possibilità di esportare i loro prodotti che sarebbero stati utilizzati come moneta di scambio per pagare il petrolio sovietico. Per questa ragione Pietromarchi chiese a Mattei nel settembre 1958 di aumentare le importazioni di petrolio sovietico. L’accordo raggiunto tra ENI e URSS, venne firmato nel dicembre dello stesso anno, quando Mattei fece tappa a Mosca durante il suo viaggio verso la Cina.[2] Il contratto prevedeva l’importazione da parte dell’ENI di 800.000 tonnellate di petrolio e attrezzature petrolifere per 300.000 dollari in cambio di una esportazione di 5.000 tonnellate di gomma sintetica dal valore di un milione di dollari, a cui sarebbero seguite 3.000 tonnellate nel primo trimestre del 1959 e ulteriori 7.000 nel corso dell’anno.[3]
Il primo accordo concluso tra l’ENI e l’URSS suscitò non poche preoccupazioni a livello internazionale. L’ambasciatore statunitense in Italia, James David Zellerbach, incontrò Amintore Fanfani il 23 dicembre 1958 per discutere sugli accordi stipulati da Mattei con il colosso comunista. Zellerbach lamentava che tale accordo poteva avere gravi ripercussioni politiche, dato che l’Italia era un Paese aderente al Patto Atlantico, e lamentava anche che al presidente dell’ENI fosse stato permesso di recarsi a Mosca per la firma di un simile accordo. Inoltre l’ambasciatore faceva notare a Fanfani che si correva un grave rischio nell’appoggiare l’operato di Mattei, in quanto essendo l’ENI un’azienda dello Stato, l’opinione pubblica poteva credere che il governo del proprio Paese potesse condividere in pieno la politica estera dell’ente presieduto da Mattei. Fanfani difese le scelte fatte da Mattei, rispondendo che non esistevano leggi che impedivano agli uomini d’affari italiani, anche a quelli che dirigevano le aziende pubbliche, di concludere accordi commerciali vantaggiosi con qualunque Paese. Fanfani aggiunse anche che non sarebbe stato né possibile e né giusto porre delle restrizioni alla libertà di azione delle aziende pubbliche che non erano previste per quelle private.[4]
L’ENI raggiunse un secondo accordo con l’Unione Sovietica nell’ottobre 1960. A renderlo possibile fu una iniziativa del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, che nel febbraio 1960 decise di fare un viaggio in URSS per compiere una visita ufficiale al capo dell’Unione Sovietica Nikita Krusciov. Lo scopo della visita era quello di migliorare le relazioni diplomatiche, economiche e culturali tra i due Paesi. La visita diplomatica, organizzata con l’aiuto dell’ambasciatore Pietromarchi, non ebbe risultati significativi dal punto di vista politico,[5] ma permise un ulteriore avvicinamento tra l’ENI e l’URSS. Il 31 maggio 1960 la visita di Gronchi venne ricambiata dal primo ministro sovietico Aleksej Kossighin, che venne accolto dal presidente della Repubblica e dal ministro degli Esteri Segni. Durante quella visita, Kossighin, ebbe modo di parlare con Mattei, e in quel colloquio vennero create le premesse per l’accordo raggiunto poi a Mosca l’11 ottobre 1960. Il Contratto, firmato da Mattei e dal ministro sovietico del commercio estero Nicolaj Patolicev, prevedeva la fornitura all’ENI di 3 milioni di tonnellate di petrolio al prezzo di 1,26 dollari al barile, in cambio di gomma sintetica prodotta dall’ANIC e di tubi di acciaio prodotti dalla Finsider, una società controllata dall’IRI. Il nuovo accordo raggiunto dall’ENI e dalla SOYUZNEFTEEXPORT (SNE), venne appoggiato dall’ambasciata italiana a Mosca e da vari settori del ministero degli Esteri italiano, ma non dal ministro Segni. Segni si trovava a New York per partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite quando venne informato dall’ambasciatore italiano, Brosio, circa le preoccupazioni statunitensi per gli accordi tra l’ENI e la SNE. Segni rispose che di tali accordi lui non ne era a conoscenza.[6] Come era già accaduto nel 1958, Fanfani difese l’operato di Mattei sostenendo di nuovo che non si poteva imporre limiti di azione ad un’azienda impedendole di concludere affari vantaggiosi solamente per il fatto che questa fosse dello Stato, e aggiunse che «le avventure economiche dell’ENI non intaccavano la saldatura occidentale del paese».[7]
Gli accordi commerciali tra l’Italia e l’Unione Sovietica proseguirono ulteriormente, e, il 24 febbraio 1961, venne stipulato un protocollo d’intesa, e il 7 giugno venne firmato un accordo quadriennale che prevedeva, per quanto riguardava i prodotti petroliferi, il limite del 14% delle importazioni dall’URSS da parte dell’ENI, e una fornitura all’Unione Sovietica di petroliere costruite dai cantieri navali italiani. L’accordo permise a quest’ultimi, che in quegli anni versavano in gravi condizioni economiche, di risollevarsi grazie alle grandi commesse ottenute dall’URSS.[8]
Le preoccupazioni degli Stati Uniti e della Gran Bretagna verso Mattei
In questo paragrafo si intende spiegare quelle che furono le conseguenze degli accordi conclusi da Mattei con i Paesi produttori con la formula 75/25 e, quindi, mettere in evidenza quali timori tali accordi suscitarono nelle grandi compagnie petrolifere e nei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.
Le major statunitensi non temevano la concorrenza dell’ENI e le sue attività commerciali all’estero, dato che l’azienda di Stato italiana era, paragonata alle società del cartello, una realtà industriale piccola e debole che mai avrebbe potuto realmente mettere a rischio gli interessi delle multinazionali in Medio Oriente. Nonostante questo, però, l’accordo firmato dall’ENI con la iraniana NIOC nel 1957, destò preoccupazioni nelle major americanee in alcuni uffici che coordinano le agenzie di intelligence statunitensi. Essi iniziarono a produrre dei rapporti da sottoporre all’attenzione del governo americano, in cui venivano spiegate le possibili conseguenze che l’accordo concluso dall’ENI e dalla NIOC potevano avere sul piano politico. Il timore era che l’accordo potesse creare un precedente nel mercato petrolifero mondiale e spingere i Paesi produttori a chiedere la revisione degli accordi. In altri termini, la loro preoccupazione era quella che la diffusione nei Paesi produttori della formula 75/25 potesse mettere in dubbio gli accordi stabiliti dalle grandi società sulla base della formula del fifty-fifty. In un documento si può leggere:
Quasi certamente la conseguenza [dell’accordo NIOC-AGIP, n.d.a.] è che vi saranno richieste nel Medio Oriente perché gli attuali accordi siano rivisti. Se la concessione italiana dovesse dimostrare di avere successo, tali pressioni diventeranno progressivamente difficili da sostenere. E l’apertura di questo affare può facilmente contribuire all’instabilità della posizione occidentale nell’area. (…) Ciononostante, alcuni osservatori ancora dubitano della capacità tecnica dell’ENI. Non ci si aspetta che il capitale sia un problema. Si riferisce, ed è probabilmente vero, che l’ENI impegnerà solo il 5% circa del suo bilancio annuale di ricerca per la concessione iraniana (…) Presumibilmente, Mattei sta tentando di forzare la sua strada nella produzione petrolifera del Medio Oriente o attraverso nuove concessioni o con la partecipazione alle compagnie esistenti. Egli probabilmente ha l’appoggio del governo per i suoi tentativi (…).[9]
Anche l’ambasciata americana a Roma vedeva negli accordi tra l’ENI e l’Iran la stessa potenziale minaccia:
Scriveva Zellerbach a John Foster Dulles, nei giorni della firma dell’accordo SIRIP, che esso avrebbe messo in discussione i contratti fra le grandi compagnie petrolifere e i paesi produttori, reso forse vani gli sforzi per la pace degli Stai Uniti e dell’ONU in Medio Oriente, rafforzato i nazionalismi nell’area, peggiorato le relazioni fra gli Stati Uniti e l’Italia, il cui governo sarebbe stato ritenuto irresponsabilmente opportunista, non conscio delle sue responsabilità internazionali.[10]
Nel settembre 1957 l’Office for Coordinating Boarding (OCB), elaborò un documento in cui si sosteneva che Mattei era un potenziale pericolo per la democrazia in Italia, dato che aveva accumulato un enorme potere che gli consentiva di avere il controllo sulla politica. Per quanto riguardava le attività estere dell’ENI, il documento avanzava l’ipotesi che Mattei, forse, stava sfidando di proposito le politiche delle multinazionali del petrolio in Medio Oriente per avere una sorta di potere contrattuale da poter usare per essere ammesso nei grandi consorzi che controllavano le aree più produttive del Medio Oriente. Dunque si aveva il sospetto che le attività commerciali estere dell’ENI volute dal manager italiano potessero avere l’obiettivo di destare la preoccupazione e l’attenzione delle major, in maniera tale da spingere queste, che temevano le potenziali conseguenze politiche nei Paesi mediorientali provocate dall’applicazione della formula 75/25, a concedere all’ENI una quota di partecipazione nei grandi consorzi, in cambio di una rinuncia, da parte dell’ENI, di continuare la sua politica di sfida nei confronti delle major. Di seguito il testo del documento:
(a)sebbene egli sia il capo di un’impresa di stato e quindi in via teorica si trovi sotto il controllo del governo italiano, egli sta usando in realtà il suo enorme potere economico, insieme al ricatto e alla corruzione, per intimidire il governo italiano e minacciare così il funzionamento proprio della democrazia italiana; (b) egli ha rappresentato uno dei principali fattori che hanno impedito un ulteriore flusso di capitale privato delle compagnie petrolifere degli Stati Uniti in Italia attraverso la sua influenza su certi ministri e un certo numero di parlamentari, che hanno appoggiato la legislazione petrolifera italiana approvata recentemente, che scoraggia le compagnie straniere e rafforza la posizione di monopolio dell’ENI in questo campo; (c) egli sta usando il suo privilegio e la sua influenza per frustrare l’espansione dell’impresa privata in Italia attraverso l’invasione dei settori chimici e nucleari, e (d) sta distogliendo una parte dei profitti dell’ENI per corruzione politica e finanziamenti per giornali neutralisti critici degli Stati Uniti […] Oltre alla sua crescente influenza negativa in Italia, adesso Mattei sta proponendo ovunque una sfida alle politiche degli Stati Uniti e alle compagnie petrolifere degli Stati Uniti (…) Egli ha fatto capire che potrebbe abbandonare questi ulteriori accordi se ammesso come partner nel consorzio iraniano e nell’ARAMCO in Arabia Saudita.[11]
I documenti vennero sottoposti all’attenzione di Dulles e Eisenhower, affinché il governo degli Stati Uniti prendesse provvedimenti per cercare di frenare le attività di Mattei e costringerlo a rispettare le regole del mercato petrolifero imposte dalle grandi compagnie. Tuttavia,
né Dulles né Eisenhower accettarono l’impostazione radicale e drammatica del problema petrolifero che da più parti dell’amministrazione veniva loro consegnata. Il memorandum della riunione del 23 settembre dimostra che essi liquidarono velocemente e in modo prosaico la questione. Dulles affermò di non essere allarmato; a suo parere non c’era niente di sacro a proposito della formula 50-50, e essa non rientrava certamente nella politica del governo. Allo stesso modo Eisenhower respinse ogni richiesta di intervento contro Mattei, sostenendo che quanto fatto dal petroliere italiano rientrava in quella libera concorrenza che costituiva il credo degli Stati Uniti. Ribattendo tutti i timori sull’azione petrolifera di Mattei e inibendo ogni controffensiva, i massimi responsabili della politica americana chiudevano così la porta alle grandi compagnie e alle loro rivendicazioni.[12]
Anche in Gran Bretagna si presero in esame le attività dell’ENI. Anche in questo caso le due grandi compagnie britanniche, la BP e la SHELL, non temevano la concorrenza dell’ENI. Le due compagnie stilarono un rapporto in cui si dimostrava la debolezza dell’ENI paragonando le sue attività con quelle delle major:
nel 1961 ENI produce circa 35.000 barili al giorno di petrolio, mentre EXXON raggiunge i 2 milioni e le altre “sorelle” sono tutte sopra 1 milione. ENI è superata persino da una piccola società americana (la Skelly Oil, che produce 60.000 bg), e all’estero ha meno di trenta pozzi produttivi, per altro di dimensioni insignificanti.[13]
Anche in un rapporto del Foreign Office, intitolato “E.N.I. and the Major International Oil Companies”, si analizzano le attività dell’azienda italiana paragonandole con quelle delle grandi compagnie. Dal documento si può evincere la debolezza dell’ENI: per quanto riguarda il volume delle vendite, ENI nel 1962 ha venduto 6,8 milioni di tonnellate di petrolio, mentre le due major britanniche, SHELL e BP, hanno venduto, rispettivamente, 158 e 86 milioni di tonnellate; la Petrofina ha venduto 10,3 milioni di tonnellate; la Standard Oil of Indiana, una grande compagnia americana indipendente, ha venduto 17 milioni di tonnellate; la Continental Oil, una indipendente di medie dimensioni, ha venduto 7,5 milioni di tonnellate. Per quanto riguarda la produzione di ENI nel 1962, dai giacimenti di Gela, in Sicilia, l’azienda italiana ha prodotto 0,5 milioni di tonnellate di greggio; in Egitto ha prodotto 3,5 milioni di tonnellate e ne ha importate in Italia 2,3; in Iran ha prodotto 0,3 milioni di tonnellate.[14]
L’ENI, dunque, era una compagnia che aveva appena iniziato la sua espansione all’estereo, e le sue attività commerciali non erano tali da minacciare gli interessi delle major. Ad ogni modo Mattei destava delle preoccupazioni in alcuni ambienti governativi britannici per ragioni politiche. Se le due compagnie britanniche, BP e SHELL, non percepivano Mattei come una reale minaccia dal punto di vista commerciale, l’ambasciatore inglese in Italia, sir Ashley Clarke, vedeva in Mattei un potenziale pericolo dal punto di vista politico. L’ambasciatore, infatti, temeva che il presidente dell’ENI con la sua propaganda politica rivolta contro le major, fatta di accuse di sfruttamento dei Paesi produttori e di perseguimento di politiche neocolonialiste, poteva danneggiare gli interessi inglesi in quelle aree geografiche in cui operavano anche le due grandi compagnie britanniche. L’ambasciata inglese riteneva, quindi, che la minaccia rappresentata dal manager italiano fosse la retorica anti-coloniale che veniva utilizzata per tentare di rafforzare la presenza dell’ENI, a discapito delle grandi compagnie, in tutti quei Paesi di nuova indipendenza dove vi era un forte sentimento anti-coloniale, che poteva portare i governi a essere sensibili a simili propagande, e quindi a percepire le multinazionali come espressione del neocolonialismo. Anche il funzionario del ministero dell’energia britannico, Jarratt, era convinto che Mattei costituisse un problema per ragioni politiche:
Jarratt, responsabile della divisione petroli del ministero, evidenziava come l’ENI rappresentasse una minaccia concreta per gli interessi inglesi, non nel campo commerciale, dove rispetto alla Bp continuava ad avere un ruolo di poco conto, ma in senso politico, per il modo in cui continuava a “denigrare le imprese occidentali in molte parti del mondo” e “nell’incoraggiare l’autarchia petrolifera a discapito degli investimenti e delle relazioni commerciali delle compagnie petrolifere inglesi.”[15]
L’ambasciatore Clarke, per cercare di limitare i danni che potevano essere provocati dagli aspetti politici dell’azione estera dell’ENI, decise di provare a convincere le due major britanniche a collaborare con Mattei, coinvolgendolo in quelle che potevano essere delle attività di un certo rilievo. Ma queste, continuando a considerare la politica estera dell’ENI solo da un punto vista commerciale, risposero negativamente alla richiesta dell’ambasciatore, sostenendo di voler continuare a trattare l’ENI come un partner commerciale di portata inferiore, dato che l’ente italiano non aveva le capacità, viste le sue dimensioni ancora ridotte, per poter collaborare alla pari come partner delle grandi compagnie.[16]
Agli inizi degli anni Sessanta, Mattei attirò di nuovo l’attenzione degli ambienti governativi statunitensi. A dare preoccupazioni erano gli accordi che l’ENI aveva stipulato con l’Unione Sovietica per la fornitura di petrolio a basso costo. Gli Stati Uniti temevano l’aspetto politico dei rapporti commerciali tra l’ENI, e quindi l’Italia, e l’URSS; il timore era quello che il nostro Paese, in conseguenza degli accordi conclusi da Mattei, potesse allontanarsi dall’alleanza occidentale. Nel giugno 1961 il presidente degli USA John Fitzgerald Kennedy, ebbe un colloquio con Fanfani, in visita alla Casa Bianca. Kennedy chiese chiarimenti in merito alla questione degli accordi tra l’ENI e l’URSS: Fanfani rispose che fermare Mattei nelle sue iniziative con i sovietici avrebbe avuto l’effetto controproducente di scatenare le reazioni della propaganda comunista in Italia.[17]
Fra il 1961 e il 1962 le preoccupazioni dell’amministrazione statunitense si accentuarono. In quegli anni in Italia sorse il dibattito sulla possibilità di formare un governo a cui avrebbero partecipato anche i socialisti, e quindi di procedere verso la formazione di un governo di centro-sinistra. L’amministrazione Kennedy guardava con molto favore la possibilità che in Italia potesse nascere un governo che includesse anche il partito socialista (PSI), dato che, in tal modo, si sarebbero sottratti i socialisti dall’influenza dei comunisti e ciò avrebbe contribuito a isolare il partito comunista (PCI).[18] Il governo degli Stati Uniti, avendo l’interesse affinché si arrivasse alla nascita di questo governo, era necessario fare in modo che niente o nessuno avrebbe potuto essere di ostacolo a questa evoluzione della politica italiana. A Washington si riteneva che una potenziale minaccia in questo senso potesse essere rappresentata dal presidente dell’ENI, Mattei. L’amministrazione Kennedy, come la precedente di Eisenhower, aveva compreso come Mattei, avendo accumulato un enorme potere nel suo Paese, fosse capace di intervenire nelle questioni di governo. Dagli USA si temeva che il presidente dell’ENI avrebbe potuto per qualche ragione compromettere la nascita del governo di centro-sinistra. Per evitare che questo potesse accadere e per tenere sotto controllo quello che era considerato un elemento incontrollabile della politica italiana, Kennedy decise di intervenire, e spinse la sua amministrazione a fare in modo che una delle grandi compagnie americane offrisse accordi commerciali vantaggiosi all’ENI.[19] È quello che succederà, come si vedrà più avanti. Ciò che è interessante far notare in questa sede, è il fatto che Mattei non suscitò preoccupazioni per le sue attività commerciali all’estero né nei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e né nelle società del cartello. A suscitare timori in questi furono, come si è visto, gli aspetti politici dell’azione estera di Mattei, e per quanto riguarda gli Stati Uniti fu, in particolare, il Mattei politico a impensierire gli ambienti governativi, dato che il manager italiano con il suo potere era in grado di intervenire negli affari del governo, rappresentando in tal modo una minaccia per la stabilità dei governi. A questo proposito è interessante il contenuto di un documento redatto da H.G. Torbert, alto funzionario del dipartimento:
[…] Esisteva una sensazione di più profondo e lungo termine da parte di molti rappresentanti degli Stati Uniti sul fatto che Mattei attualmente rappresentasse una minaccia per il tipo di stabilità democratica del governo italiano (…) che non poggia ancora su basi incrollabili. Mattei è un uomo di immenso potere e questo potere è basato in gran parte su risorse dello stato italiano. Allo stesso tempo egli non sembra essere responsabile verso alcuno, la sua influenza pervade molto estesamente la struttura politica e economica italiana (…).[20]
Mattei, dunque, era percepito come una potenziale minaccia per la stabilità della politica italiana. Il presidente Kennedy, che aveva l’interesse affinché in Italia potesse avvenire senza problemi un importante cambiamento politico come, appunto, l’apertura a sinistra, decise che era opportuno tenere a bada il presidente dell’ENI, permettendogli, attraverso l’intervento della sua amministrazione, di raggiungere delle buone intese con le major statunitensi. Mattei durante gli ultimi mesi della sua vita riuscì così ad ottenere un dialogo con gli Sati Uniti e con le sue grandi multinazionali del petrolio, non per aver destabilizzato il mercato petrolifero mondiale, ma per essere diventato un uomo di potere in Italia. Scrive Leonardo Maugeri:
mentre l’epica dello scontro con le “sette sorelle” non ebbe che scarsa rilevanza per le amministrazioni statunitensi, fu invece l’influenza interna all’Italia a dare consistenza politica al presidente dell’ENI nelle analisi americane. Ritornano quindi in discussione quei limiti del sistema italiano che già al tempo formavano il quadro di una democrazia fragile sul cui sfondo si agitava lo spettro di un confronto locale tra Occidente e comunismo unico per intensità e capillarità. Applicato al caso Mattei questo quadro produsse quella attenzione e quella preoccupazione politica che l’apparente sconvolgimento degli equilibri petroliferi non avevano suscitato. Fu in altri termini il Mattei protagonista della vita politica italiana, e non il petroliere eversore del sistema internazionale, a meritare considerazione. Fu l’uomo ormai in grado di sfuggire a ogni controllo che assunse rilevanza politica, poiché in grado di usare il suo enorme potere economico, insieme al ricatto e alla corruzione, per intimidire il governo italiano e minacciare così il funzionamento proprio della democrazia italiana. In questo senso l’arma del petrolio brandita da Mattei ebbe un effetto dirompente, in quanto, cioè, gli fornì una notevole forza contrattuale rispetto alle vicende italiane e, di conseguenza, rispetto agli Stati Uniti. E per queste ragioni, quando il dibattito sull’ingresso dei socialisti entrò nella fase definitiva (1961-1962), l’amministrazione Kennedy promosse una trattativa per la pacificazione con Mattei. […] Gli Stati Uniti ritenevano che Mattei fosse in grado di mandare all’aria ogni pianificazione ordinata delle vicende italiane grazie alla sua influenza.[21]
Le trattative tra l’ENI e gli Stati Uniti
Considerando quello che si è detto nel precedente paragrafo, sono due, quindi, le circostanze che permisero all’ENI di Mattei e agli Stati Uniti di giungere ad un dialogo. La prima è l’evoluzione della situazione politica in Italia: nel nostro Paese si procedeva verso il varo del primo governo di centro-sinistra, un governo che avrebbe allontanato i socialisti dall’influenza dei comunisti. La formazione di un simile governo era gradita alla nuova amministrazione statunitense, ovvero quella di Kennedy, che voleva che tale svolta politica si realizzasse senza nessun impedimento. A Washington Mattei era percepito come un uomo potente, capace di influire sulla nascita del governo, e quindi, considerato un elemento incontrollabile della politica italiana, si ritenne che in quella fase sarebbe stato più conveniente averlo come alleato. La seconda circostanza che spinse il governo statunitense a cercare un dialogo con Mattei, furono le forniture di greggio sovietico: gli Stati Uniti volevano che l’ENI dipendesse meno dal petrolio proveniente dal blocco orientale. Per tali ragioni Kennedy spinse la sua amministrazione a fare in modo che una delle major americane scendesse a patti con Mattei, offrendogli degli accordi commerciali vantaggiosi.
Dal 1961 Mattei incontrò alcuni esponenti del governo degli Stati Uniti, tra cui Averell Harriman, Georg McGhee e George Ball. In questi incontri venne definito il percorso politico per attuare la proposta americana, e, conclusosi il ciclo di incontri, il segretario di stato Dean Rusk invitò una delle grandi società statunitensi, la Standard Oil of New Jersey (ESSO), a raggiungere un accordo con l’ENI. Nell’estate del 1962, Giuseppe Ratti, che ricopriva il ruolo di responsabile commerciale dell’ENI, venne incaricato da Mattei di negoziare i termini dell’accordo con Vincenzo Cazzaniga, il presidente della ESSO italiana, e quindi il rappresentante italiano della Standard Oil of New Jersey. L’accordo, che venne raggiunto dalla due parti, prevedeva la fornitura quinquennale all’ENI di 12 milioni di tonnellate di petrolio proveniente dalla Libia ad un prezzo molto favorevole. Mattei, dunque, avrebbe dovuto firmare un accordo che era già stato preparato. Era previsto che il presidente dell’ENI si recasse negli Stati Uniti, dove gli sarebbe stato concesso di incontrare Kennedy, e avrebbe ricevuto anche una laurea honoris causa dalla Stanford University. Purtroppo la sua prematura scomparsa, avvenuta il 27 ottobre 1962, gli impedirà di compiere quel viaggio, che avrebbe rappresentato per lui un grande successo politico. Gli accordi raggiunti tra l’ENI e la ESSO nei mesi precedenti alla scomparsa di Mattei, vennero sottoscritti dai successori del fondatore dell’ENI.[22]
[1] A dare questa interpretazione dei fatti sono: LUIGI BAZZOLI, RICCARDO RENZI, Il miracolo Mattei, Milano, Rizzoli, 1984, p. 227; PAUL H. FRANKEL, Petrolio e potere: Enrico Mattei, Firenze, La nuova Italia, 1970, pp. 140-143; GIORGIO GALLI, La sfida perduta. Biografia politica di Enrico Mattei, Milano, Bompiani, 1976, pp. 175-199; BENITO LI VIGNI, Enrico Mattei. L’uomo del futuro che inventò la rinascita italiana, Roma, Editori Riuniti, 2014, pp. 143-144; CARLO MARIA LOMARTIRE, Mattei. Storia dell’italiano che sfidò i signori del petrolio, Milano, Le Scie Mondadori, 2004, pp. 286-289; MANLIO MAGINI, L’Italia e il petrolio tra storia e cronologia, Milano, Edizioni Mondadori, 1976, pp. 148-149; ALBERTO MARINO, Enrico Mattei deve morire! Il sogno senza risveglio di un paese libero, Roma, Castelvecchi, 2014, p. 33; RAFFAELE MORINI, Enrico Mattei. Il partigiano che sfidò le sette sorelle, Milano, Mursia, 2011, p. 175; NICO PERRONE, Enrico Mattei, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 91-98. A rafforzare l’immagine di Mattei come uomo solitario, le cui iniziative sono da attribuirsi solo alla sua intraprendenza e al suo coraggio, è stato anche il film di Francesco Rosi, Il caso Mattei. In una scena, a proposito degli accordi con l’URSS, all’attore Gian Maria Volonté, che interpreta il presidente dell’ENI, viene fatto dire: «Be’, va bene, va bene; ma diciamo le cose come sono: lo Stato italiano non sta facendo nessuna politica estera […] I nostri uomini politici hanno paura. Io no. Poi va a finire che dicono che io faccio la politica estera». (FRANCESCO ROSI, EUGENIO SCALFARI, Il caso Mattei. Un corsaro al servizio della repubblica, Bologna, Cappelli editore, 1972,p. 147). Anche nel più recente sceneggiato Rai dedicato a Enrico Mattei (Enrico Mattei. L’uomo che guardava al futuro, 2009, regia di Giorgio Capitani) viene data questa interpretazione dei fatti. In una scena viene mostrato Mattei (interpretato dall’attore Massimo Ghini) che decide di recarsi da solo, e all’insaputa di tutti, in Unione Sovietica per la firma degli accordi.
[2] Mattei si recò insieme ai suoi collaboratori in Cina nel dicembre 1958. La Cina in quegli anni era un Paese che non aveva rapporti diplomatici con i Paesi dell’Occidente. Il presidente dell’ENI riuscì ad ottenere un invito dal China Committee for the promotion of International Trade e il visto d’ingresso nel Paese dall’ambasciata di Berna grazie all’aiuto di Giorgio La Pira, che aveva a disposizione importanti contatti con la Cina. L’ENI con la Repubblica Popolare Cinese concluse un accordo per la fornitura di fertilizzanti azotati prodotti dalla sua controllata ANIC (Cfr. GUIDO SAMARANI, Enrico Mattei e la Cina in DAVIDE GUARNIERI (a cura di), Enrico Mattei. Il comandante partigiano, l’uomo politico, il manager di stato, Pisa, BFS Edizioni, 2007, pp. 91-98).
[3] Cfr. BRUNA BAGNATO, Prove di Ostpolitik. Politica ed economia nella strategia italiana verso l’Unione Sovietica (1958-1963), Firenze, Olschki, 2003, pp. 337-343.
[4] Cfr. Ivi, pp. 344-345.
[5] Cfr. EVELINA MARTELLI, L’altro atlantismo. Fanfani e la politica estera italiana (1958-1963), Milano,Guerini e Associati, 2008, pp. 175-194.
[6] Cfr. BRUNA BAGNATO, Prove di Ostpolitik, op. cit., pp. 360-377.
[7] Ivi, p. 395.
[8] Cfr. ivi, pp. 397-422.
[9] LEONARDO MAUGERI, L’arma del petrolio: questione petrolifera globale, guerra fredda e politica italiana nella vicenda di Enrico Mattei, Firenze, Loggia De’ Lanzi, 1994,pp. 154-155.
[10] GEORG MEYR, Enrico Mattei e la politica neoatlantica dell’Italia, nella percezione degli Stati Uniti d’America in MASSIMO DE LEONARDIS (a cura di), Il Mediterraneo nella politica estera italiana del secondo dopoguerra, Bologna,Il Mulino, 2003, p. 164.
[11] LEONARDO MAUGERI, L’arma del petrolio, op. cit., pp. 155-156.
[12] Ivi, p. 157.
[13] LEONARDO MAUGERI, L’era del petrolio. Mitologia, storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, Milano, Feltrinelli, 2006,p. 113.
[14] E.N.I. and the Major International Oil Companies. La copia del documento è conservata presso il Museo “Enrico Mattei”, Matelica, via Umberto I n. 9, cartella “I servizi segreti inglesi documenti”.
[15] MATILDE ATENEO, Neo-atlantismo e «apertura a sinistra». Nei report del Foreign office (1953-1962), Reggio Calabria,Città del Sole Edizioni, 2015,p. 244.
[16] Cfr. ivi, pp. 215-236.
[17] Cfr. GEORG MEYR, op. cit., in MASSIMO DE LEONARDIS (a cura di), op. cit., pp. 165-166.
[18] Sulla nascita del centro-sinistra cfr. AURELIO LEPRE, Storia della prima repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 188-205.
[19] Cfr. LEONARDO MAUGERI, L’arma del petrolio, op. cit., pp. 266-274.
[20] Ivi, p. 159.
[21] Ivi, pp. 308-309.
[22] Gli incontri tra Mattei e gli esponenti dell’amministrazione Kennedy, e le trattative tra l’ENI e la ESSO, sono ricostruiti sulla base di documenti d’archivio e su testimonianze autorevoli da Leonardo Maugeri (cfr. LEONARDO MAUGERI, L’arma del petrolio, op. cit., pp. 274-292) e da Nico Perrone (cfr. NICO PERRONE, Mattei, il nemico italiano: politica e morte del presidente dell’ENI attraverso i documenti segreti, 1945-1962, Milano, Leonardo, 1989, pp. 175-188; NICO PERRONE, Obiettivo Mattei: petrolio, Stati Uniti e politica dell’ENI, Roma, Gamberetti, 1995, pp. 165-180).

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