Nota a margine al procedimento penale 181/94

Il “caso Mattei”: la letteratura sull’argomento

   Il “caso Mattei” – dove per “caso Mattei” si intende la storia delle inchieste giudiziarie e giornalistiche che hanno tentato di dare una spiegazione al disastro aereo di Bascapè – ha da sempre attirato l’attenzione dell’opinione pubblica italiana. Già pochi mesi dopo la tragica scomparsa di Enrico Mattei, comparve una inchiesta giornalistica in tre puntate di Fulvio Bellini sulla rivista “Secolo XX”. Nei tre articoli di Bellini, venne fissata la vulgata sulla morte del presidente dell’ENI, e cioè che Enrico Mattei fu vittima di un attentato, voluto, molto probabilmente, dalle sette compagnie petrolifere anglo-americane o da una di esse, e l’aereo sul quale fece il suo ultimo viaggio venne sabotato con una bomba collegata al sistema di fuoriuscita del carrello.[1] 

   Nel 1968 – tra il mese di giugno e luglio – Francesco Fusco e Nino Marino firmano tre articoli pubblicati sulla rivista “Nuovo Mondo d’Oggi” diretta da Mino Pecorelli. Negli articoli, vengono riprese le argomentazioni di Fulvio Bellini, e, dunque, la tesi dell’attentato voluto dalle multinazionali del petrolio, e la tesi dell’aereo sabotato con una bomba che potesse esplodere durante la fase di atterraggio, in modo tale da far sembrare il delitto un banale incidente aereo.[2]

   Tra il 1970 e il 1972 diverse opere ripropongono la tesi secondo la quale Enrico Mattei rimase vittima di un attentato: il libro di Fulvio Bellini e Alessandro Previdi, “L’assassinio di Enrico Mattei”,[3]che amplia i tre articoli apparsi nel 1963 sul “Secolo XX”; un saggio di Riccardo De Sanctis, dove l’autore dimostra di aver analizzato la relazione di inchiesta redatta dai tecnici dell’Aeronautica Militare, dandone un giudizio negativo, affermando che tali indagini non hanno preso realmente in considerazione la tesi dell’attentato, e l’autore avanza l’ipotesi dell’aereo sabotato con una bomba collegata al sistema di fuoriuscita del carrello;[4] il libro Lamia di Philippe Thyraud de Vosjoli, ex agente del Service de documentation extérieure et de contre-espionnage (SDECE), nel quale si sostiene che a sabotare l’aereo fu un agente dei servizi francesi il cui nome in codice era Laurent, il quale fece pratica sulla strumentazione di bordo del bireattore nell’azienda costruttrice, la Morane-Saulnier;[5] e, infine, il film di Francesco Rosi, “Il caso Mattei” (1972), la cui sceneggiatura è stata tratta dal libro di Bellini e Previdi. Nel film di Rosi, dove a interpretare Enrico Mattei è Gian Maria Volonté, la tesi dell’aereo sabotato viene presa in considerazione, ma nella scena finale il regista mostra il pilota Bertuzzi in difficoltà ai comandi dell’aereo. Probabilmente, il regista ha voluto suggerire al pubblico entrambe le tesi, e cioè quella dell’attentato e quella dell’incidente.[6]

   Nel 2017 l’opinione pubblica sembra avere la certezza che Enrico Mattei sia stato ucciso. Il Pubblico Ministero Vincenzo Calia, titolare dell’inchiesta sulla morte del presidente dell’ENI svoltasi tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, insieme alla giornalista Sabrina Pisu pubblica il libro “Il caso Mattei”, dove si racconta in modo romanzato le indagini del Magistrato.[7] Successivamente, le argomentazioni di Calia sono state riprese da svariate pubblicazioni.[8]

Il “caso Mattei”: le indagini

   Il 27 ottobre 1962, alle ore 18.57, in località Bascapè, Pavia, l’aereo sul quale viaggiava Enrico Mattei, proveniente da Catania e diretto a Linate, precipitò; morirono con Mattei il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista del Time-Life William McHale. La sera stessa venne nominata una commissione di inchiesta dall’allora ministro della difesa Giulio Andreotti. Le indagini vennero svolte dall’Aeronautica Militare dalla fine di ottobre fino al marzo del 1963 e, a lavori conclusi, la commissione giunse alle seguenti conclusioni:

    Mentre le modalità dell’incidente sono state determinate, l’incidente è infatti da attribuire a perdita di controllo in spirale destra, non è stato possibile accertare la causa o le cause che tale perdita di controllo hanno determinato.

I numerosi elementi certi derivati dalle investigazioni, dando evidenza del corretto funzionamento delle parti e dispositivi interessati, hanno portato ad escludere determinati gruppi di cause.

Tra le varie ipotesi, non suffragate da elementi certi o da indizi, che potrebbero spiegare la repentina incontrollata spirale a destra conclusasi con l’urto sul terreno, la Commissione ritiene quale ipotesi più attendibile quella rappresentata dalla concomitanza di più fattori di natura tecnica e psicofisica che possono apparire di scarsa importanza se valutati isolatamente ma che nel loro dinamismo complessivo possono avere assunto il valore di causa determinante dell’incidente.[9]

   La seconda inchiesta sulla morte di Enrico Mattei è stata svolta dal Pubblico Ministero Vincenzo Calia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia.  La nuova indagine venne avviata dalla procura di Pavia il 20 settembre 1994, a seguito di una trasmissione, da parte della procura di Caltanissetta, di un verbale contenente una dichiarazione fatta da un collaboratore di giustizia, Gaetano Iannì. Tale Iannì, disse ai magistrati di Caltanissetta che «per l’eliminazione di Mattei c’era stato un accordo tra gli americani e Cosa Nostra. Che il centro di Cosa Nostra, cioè Palermo, incaricò per l’eliminazione Di Cristina Giuseppe il quale con la sua famiglia fece in modo che sull’aereo sul quale viaggiò il Mattei venisse collocata una bomba».[10]

   La seconda inchiesta sulla morte di Enrico Mattei, sembra ribaltare le conclusioni delle prime indagini. A seguito di nuove perizie eseguite da esperti su alcuni resti dell’aereo e sui resti dei cadaveri, gli inquirenti si sono pronunciati per la natura dolosa del disastro aereo. La seconda inchiesta tuttavia, si limita solamente a dare verosimiglianza alla tesi del sabotaggio dell’aereo e il Magistrato, nelle sue conclusioni, ammette l’impossibilità di proseguire le indagini per individuare esecutori materiali e mandanti:

    All’esito dell’indagine deve ritenersi in primo luogo acquisita la prova che l’aereo a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, William Mc Hale e Irnerio Bertuzzi venne dolosamente abbattuto nel cielo di Bascapè la sera del 27 ottobre 1962.

   L’indagine tecnica, confortata dalle testimonianze orali e dalle prove documentali raccolte, in assenza di evidenze contrarie, ha infatti permesso di ritenere inequivocabilmente provato che l’I-SNAP precipitò a seguito di un esplosione limitata, non distruttiva, verificatasi all’interno del velivolo.

   È infatti provato che a bordo dell’I-SNAP si verificò un’esplosione; che l’esplosione si verificò durante il volo e non in coincidenza o dopo l’impatto col suolo; che il serbatoio, i motori e la bombola di ossigeno non esplosero.

   Come è già stato dimostrato il mezzo utilizzato fu una limitata carica esplosiva, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei suoi alloggiamenti.

   Tale carica esplosiva, equivalente a circa cento grammi di Compound B, fu verosimilmente sistemata dietro il cruscotto dell’aereo, a una distanza di circa 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Enrico Mattei. […]

   L’indagine a distanza di quarant’anni dal delitto, dopo aver insperabilmente acquisito la certezza circa le cause della caduta dell’I-SNAP, si è posta come ulteriore obiettivo possibile la ricerca delle responsabilità personali e dirette nella morte del presidente dell’ENI e dei suoi due compagni di viaggio.

   Le prove orali, documentali e logiche raccolte […] non permettono l’individuazione degli esecutori materiali né, per quanto concerne i mandanti, possono condurre oltre i sospetti e le illazioni, di per sé inadeguati non soltanto a sostenere richieste di rinvio a giudizio, ma anche a giustificare l’iscrizione di singoli nominativi sul registro degli indagati o a protrarre ulteriormente le investigazioni.[11]

Il giudice e lo storico

   Piero Calamandrei – politico, giurista e avvocato fiorentino – nel suo saggio del 1939 dal titolo “Il giudice e lo storico”[12], metteva in evidenza quelle che sono le similitudini tra lo storico e il giudice – o, più in generale, tra lo storico, il giudice, l’avvocato e il Pubblico Ministero – e, altresì, sottolineava i differenti compiti del giudice e dello storico.

   Secondo il giurista fiorentino, entrambi, per sostenere una tesi, devono avere capacità argomentativa, e, cioè, devono convincere attraverso un ragionamento. Inoltre, le due figure sono accumunate dal fatto che entrambi devono accertare una verità indagando su fatti accaduti nel passato; devono essere il più possibile imparziali e cercare, dunque, l’oggettività; entrambi devono ricostruire il passato su dati preesistenti, e, quindi, devono utilizzare le fonti scritte e orali, sottoponendole ad un attento vaglio critico; sia il giudice che lo storico, devono avere diffidenza verso la fonte orale, in quanto questa può essere soggetta a confusioni temporali, contaminazioni e sovrapposizioni. 

   Giudice e storico, però, hanno compiti ben distinti: il giurista deve accertare dei fatti, non può e non deve scrivere la storia, dato che questo è il compito che spetta allo storico.

L’uso improprio delle fonti a disposizione del Magistrato

  Nella sua inchiesta, il PM Calia sostiene la tesi della contemporanea presenza in Sicilia, nelle giornate del 26 e 27 ottobre 1962, dei due aerei gemelli che all’epoca appartenevano all’ENI, ossia un Morane-Saulnier 760 marche I-SNAP e un Morane-Saulnier 760 marche I-SNAI. Il Pubblico Ministero Vincenzo Calia cerca di dimostrare la presenza di I-SNAI, in quanto egli ipotizza che I-SNAP sia stato sabotato con una bomba collegata al sistema di fuoriuscita del carrello «nella notte tra il 26 e 27 ottobre, mentre l’I-SNAP era ricoverato nella zona militare dell’aeroporto».[13] Tale teoria è indispensabile per il Magistrato, in quanto egli deve attribuire il volo Catania-Gela e Gela-Catania, avvenuto la mattina del 27 ottobre 1962, a I-SNAI, ovvero al Morane-Saulnier 760 non sabotato, e far rimanere a terra I-SNAP fino alla partenza per Milano – Linate avvenuta alle 16,57.  Ma, dato che I-SNAI non era presente in Sicilia in quei due giorni, il volo Catania-Gela e Gela-Catania va attribuito a I-SNAP. Orbene, se I-SNAP ha volato la mattina del 27 ottobre 1962 prima delle 16,57 senza esplodere, vuol dire che sull’aereo non c’era nessuna bomba collegata al sistema di fuoriuscita del carrello.[14]

 Il PM nella sua indagine cerca di dimostrare la tesi della presenza “dell’aereo gemello” e la presenza del suo pilota (ossia il Comandante Bignardi) in Sicilia nei giorni 26 e 27 ottobre 1962, utilizzando delle testimonianze orali, anziché fare affidamento a fonti più attendibili, e, cioè, il libretto di volo di Ferdinando Bignardi, che l’inquirente aveva acquisito insieme ad altri documenti che riguardavano lo stesso pilota. Tale documento, non viene mai menzionato nella relazione del Magistrato.

   Nel ricostruire gli spostamenti di Enrico Mattei durante il suo ultimo viaggio in Sicilia il 26 e il 27 ottobre 1962, il PM dimostra di aver acquisito i libretti di volo di tutti i piloti che in quei due giorni erano presenti nell’isola e che erano a disposizione sia del presidente Mattei e sia degli altri dirigenti dell’ENI. Ciò lo si evince dalle testimonianze di Raffaele Grisi e Sigfrido Matteuzzi:

   Raffaele Grisi: Il 26 e 27 ottobre 1962 mi trovavo in Sicilia con l’I-SNAM pilotato proprio da Matteuzzi. Come si evince dal mio libretto di volo che le consegno […], in quei due giorni ho fatto moltissimi voli tra Catania, Gela e Palermo per trasportare dirigenti e autorità.

Il 27 ottobre 1962, alle ore 13.30 locali ho riportato l’aereo nell’hangar di Ciampino. […] In quei due giorni in Sicilia non ho mai visto né Bertuzzi né l’I-SNAP.

In Sicilia, che io sappia, gli aerei aziendali presenti erano l’I-SNAP pilotato da Bertuzzi e l’I-SNAM pilotato da Matteuzzi. Pertanto presso l’hangar di Ciampino dovevano esserci l’I-ANIC e l’I-SNAI. Ritengo che i due aerei che ho appena citato potessero essere negli hangar a Ciampino ma non ne ho memoria. L’I-ANIC poteva essere altrove con Scapinelli e l’I-SNAI poteva essere altrove con Bignardi. E del resto i piloti dei bireattori MS erano solo Bertuzzi, Matteuzzi e Bignardi e come ho già detto Matteuzzi e ovviamente Bertuzzi, erano in Sicilia mentre Bignardi non l’ho visto […].[15]

   Sigfrido Matteuzzi: […] Al momento della morte di Enrico Mattei i piloti SNAM abilitati all’uso dei Morane Saulnier erano Bertuzzi, Bignardi e io. […] Io volavo quasi esclusivamente sull’I-SNAP. L’I-SNAI era praticamente quasi sempre fermo sin da quando è arrivato l’I-SNAP: l’I-SNAI fungeva da aereo di riserva, in caso di indisponibilità per guasti o manutenzione dell’I-SNAP. Quando non volava l’I-SNAI era custodito in un hangar di Ciampino o Linate. Nel periodo che ha preceduto la morte di Mattei io non ricordo che l’I-SNAI fosse in uso e, comunque, io volavo quasi esclusivamente sull’I-SNAP, come lei può peraltro rilevare dal libretto di volo che le consegno in visione sino a che sarà necessario per le indagini. Come può rilevare dal mio libretto di volo io sono partito da Ciampino per Gela alle ore 9.20Z, che corrispondono alle 10.20 dell’orario corrente, del 26 ottobre 1962, alla guida del DH Dove I-ANIC, con quattro passeggeri a bordo (come risulta dal libretto di volo), escluso il pilota e il motorista, per cui a bordo vi erano in totale sei persone. […] L’aereo a disposizione del presidente era poi di norma il ‘migliore’ e cioè il più adatto alle circostanze. Tra l’I-SNAP e l’I-SNAI era senz’altro preferibile l’I-SNAP, quanto meno perché aveva maggiore autonomia ed era di più recente costruzione.[16]

Leggendo queste testimonianze rese da Grisi e da Matteuzzi al Magistrato, si evince che il PM ha avuto a disposizione per le sue indagini i libretti di volo di tutti i piloti, dimostrando anche di averli consultati insieme ai rispettivi proprietari. Nel caso del comandante Bignardi – che non venne convocato dal PM in quanto il Comandante morì nel 1980 – il suo libretto di volo sembra non avere importanza per il Magistrato, tanto da ipotizzare, sulla base dei ricordi della vedova di Bertuzzi, ossia Lina Poli, e sulla base di quanto poteva ricordare la vedova di Bignardi, ossia Maria Provini, che Ferdinando Bignardi, il 26 e 27 ottobre 1962, era il pilota dell’I-SNAI e che fosse rientrato con questo aereo il pomeriggio del 27 ottobre. Calia, infatti, scrive:

   Poiché il 26 e il 27 ottobre 1962 Sigfrido Matteuzzi, insieme al motorista Grisi, era in volo con l’I-SNAM e Bertuzzi era senz’altro a bordo dell’I-SNAP precipitato a Bascapè, non resta che ritenere che il 26 e 27 ottobre il pilota dell’I-SNAI fosse Ferdinando Bignardi, rientrato con l’I-SNAI a Milano il pomeriggio del 27 ottobre […]. Circa i movimenti di Ferdinando Bignardi il 26 e 27 ottobre 1962 paiono significative – anche nelle apparenti contraddizioni – le dichiarazioni rese da Maria Provini, vedova di Bignardi, e Lina Poli, vedova di Bertuzzi.[17]

Di seguito, le testimonianze della vedova di Bertuzzi e della vedova di Bignardi:

[vedova di Bertuzzi, Lina Poli]: “Ricordo che verso le 18.59 del 27 ottobre 1962 io avevo chiamato l’hangar ENI di Linate, parlando con l’ingegner Muran, che era il responsabile del reparto aerei della SNAM. Io chiamavo da Roma, dove a quel tempo abitavo […]. Mio marito […] avrebbe dovuto atterrare a Linate e, quindi, tornare a Roma con un volo Alitalia. A Fiumicino avrei dovuto recarmi io per accompagnarlo a casa. Questo era il programma che mio marito aveva già stabilito prima di partire per la Sicilia. Il mattino del 28 ottobre avrebbe dovuto partire per Atlanta, in Georgia, ove avrebbe dovuto ritirare il Jet Star. A tale scopo egli aveva con sé una valigetta con parecchio denaro contante che gli sarebbe servito per sopperire alle varie esigenze, tra le quali le tasse di atterraggio, di stazionamento e il costo dell’eventuale riparazione.

Poiché mio marito avrebbe dovuto partire alle prime ore del mattino del 28 e non avrebbe avuto tempo di ritirare il denaro, tale denaro gli era stato consegnato già prima della partenza per la Sicilia.

Il viaggio in Sicilia non avrebbe dovuto toccare a mio marito, bensì al suo collega Bignardi, il quale peraltro aveva chiesto a mio marito di essere sostituito poiché aveva la bambina ammalata e non se la sentiva di lasciarla sola. Rammento anche che, dopo la morte di Bignardi a Nairobi nel 1980, io telefonai per fare le condoglianze alla vedova, la quale mi disse che era proprio destino che il marito dovesse perire tragicamente in quanto già nel 1962 doveva toccare a lui il tragico volo da Catania a Milano.

Tornando alla sera del 27 ottobre 1962 e alla telefonata che io avevo fatto all’ingegner Muran per sapere se mio marito era già atterrato, ricordo che quest’ultimo mi rispose dicendomi che stava facendo l’ultimo biscotto, intendendo dire che stava compiendo l’ultimo giro prima di atterrare. Appena agganciata la cornetta del telefono, ricordo che il telefono trillò e all’altro capo del filo mi parlò un tale signor Verzotto, che diceva di chiamare da Catania, e che mi chiedeva se il comandante era per caso atterrato a Roma. Io gli risposi di aver appena parlato con Milano e di aver saputo che stava atterrando a Linate.

Le ribadisco che il programma di mio marito e di Mattei era di scendere direttamente a Linate e non certo a Roma, dove mio marito si sarebbe invece recato con un volo di linea la sera stessa del 27 ottobre, con un biglietto che aveva già con sé. […]

L’ultima telefonata che ho ricevuto da mio marito risale alla sera del 26 ottobre 1962. Mi sembra che mio marito chiamasse da un albergo e rammento che mi dava conto dei risultati che egli definiva positivi e dei quali era proprio contento, in relazione alla costituzione di una nuova società di trasporto aereo con sede in Sicilia, della quale egli avrebbe fatto parte come direttore.

Sempre in quella telefonata mio marito mi aveva riferito di essersi incontrato con il direttore del Banco di Sicilia, con il presidente della regione Sicilia e con Verzotto.

Il giorno prima di partire per la Sicilia mio marito aveva passato positivamente la visita per il rinnovo del brevetto.

Gli unici abilitati a volare con il Morane erano mio marito, Bignardi e forse Balletti.

Degli ultimi due giorni passati in Sicilia mio marito ha parlato a lungo, nel corso di più telefonate, con il dottor Giovanni Sajeva, […] che era il direttore della Transavia. Le telefonate riguardavano la costituzione della nuova società aerea siciliana, alla quale era interessato anche il Sajeva. Mio marito aveva telefonato a Sajeva anche dall’aeroporto di Catania, mentre attendeva Mattei il pomeriggio del 27 ottobre 1962. Queste circostanze me le ha riferite lo stesso Sajeva dopo la morte di mio marito.

[…] Le aggiungo che il viaggio in Sicilia avrebbe dovuto essere l’ultimo volo di mio marito con Mattei, prima del ritiro del Jet Star e del passaggio alla nuova società aerea siciliana.[18]

[vedova di Bignardi, Maria Provini]: Mio marito è entrato alla SNAM come pilota nel 1959, proveniente dall’Aeronautica Militare. Si è dimesso credo nel 1963 per fare il pilota di Agnelli. […] Del 27 ottobre 1962 ricordo solo che mio marito si trovava a Linate in attesa dell’arrivo di Bertuzzi, con il quale doveva andare a Roma per partire, il giorno successivo, per gli USA per ritirare il jet-star. Saputo che l’aereo era caduto, l’ho saputo da un amico di mio marito, saputo che i morti erano tre, non avendo notizie di mio ma-rito ero convinta che fosse perito nell’incidente, fino al mattino successivo quando mi ha telefonato verso le 9.30. Ho poi saputo che mio marito è stato uno dei primi ad accorrere a Bascapè.

So che mio marito si faceva molte domande su quello che poteva essere successo perché diceva che c’era un contadino che aveva visto l’esplosione in aria, o una luce, ma a terra c’era una strisciata che faceva pensare che l’aereo fosse arrivato al suolo integro.

[…] Il 27 ottobre 1962 mio marito non era a casa. Lo deduco dal fatto che, pur sapendo che mio marito non doveva essere in Sicilia, avevo avuto il dubbio che vi fosse andato a mia insaputa, come spesso accadeva per cambiamenti di programma all’ultimo momento.

[…] Non ho mai saputo che mio marito dovesse fare il viaggio in Sicilia e che era stato sostituito all’ultimo momento. […] Sono certa che nei giorni precedenti alla caduta dell’aereo di Mattei i miei figli, di due e tre anni, stavano benissimo. Mio marito non è rimasto mai a casa per le malattie dei bambini, perché il volo era molto importante per lui e comunque io ero casalinga a tempo pieno […].[19]

Stando a questi fatti, il Magistrato, per dimostrare la presenza di Ferdinando Bignardi, ha ritenuto più significative delle testimonianze orali rese a distanza di oltre trent’anni dall’accaduto, anziché menzionare il libretto di volo del pilota che certamente è più attendibile – e, dunque, più probante – rispetto ai ricordi contraddittori di Lina Poli e Maria Provini. Il PM, oltre a non menzionare mai il documento, non fornisce alcuna spiegazione sul perché egli non l’ha ritenuto importante ai fini della sua ricostruzione dei fatti. Il libretto di volo del Comandante Bignardi avrebbe certamente spiegato più facilmente la presenza o meno del pilota in Sicilia nei giorni 26 e 27 ottobre 1962. Avrebbe, però, certamente invalidato la tesi della presenza “dell’aereo gemello”, una tesi che riveste molta importanza nell’inchiesta dell’inquirente.

   Dunque, il Dr. Vincenzo Calia ha fatto un uso improprio delle fonti a sua disposizione, scegliendo di usare quelle che corroborano meglio la sua tesi. Inoltre, il PM in questo caso ha manifestato di aver dato più importanza a delle testimonianze orali in luogo di un documento più attendibile, dimostrando di non avere quella massima diffidenza, di cui parla Calamandrei nel suo saggio, verso la prova orale, sempre soggetta a confusioni temporali, contaminazioni, e sovrapposizioni.

   Nella sua inchiesta, il PM dimostra più volte di fare un largo uso di testimonianze orali per dimostrare dei fatti. Rimanendo sempre nell’ambito della tesi della presenza “dell’aereo gemello”, l’inquirente riporta diverse testimonianze di persone che all’epoca dei fatti lavoravano all’aeroporto di Catania-Fontanarossa, ossia l’aeroporto da dove Mattei partì per il suo ultimo viaggio. Tali testimonianze riguardano l’ipotetica presenza del Morane – Saulnier 760 I-SNAI, che sarebbe stato visto – appunto – da alcuni impiegati aeroportuali: i ricordi incerti dei testi vertono su un bireattore di colore chiaro che sarebbe stato sprovvisto del logo del “cane a sei zampe”. Pare che I-SNAI si distinguesse da I-SNAP (l’aereo coinvolto nella sciagura di Bascapè) non solo dalla matricola di registrazione, ma anche da una livrea leggermente diversa. Ad ogni modo, i ricordi sbiaditi dei testi che all’epoca erano impiegati all’aeroporto, in realtà, non sembrano fornire prove concrete della presenza di I-SNAI:

  Nell’ottobre del 1962 prestavo servizio presso il C.D.A. all’aeroporto Catania Fontanarossa […]. Il giorno in cui è morto l’ingegner Mattei […] io avevo svolto il turno pomeridiano con inizio alle ore 14 e termine alle ore 20 o 21. Ricordo che nel pomeriggio si era presentato il comandante Bertuzzi per confermare un piano di volo che era stato precedentemente compilato. […] Non ho più visto Bertuzzi ma dalla finestra del posto dove io lavoravo avevo visto l’aereo di transito poco prima del decollo.

Precedentemente, quindi sempre nel pomeriggio, avevo visto lo stesso aereo parcheggiato nella zona civile e precisamente nella piazzola di sosta degli aeromobili civili.

Quando nel pomeriggio avevo visto l’aereo l’avevo notato perché era un bireattore ma non mi ero accorto che fosse dell’ENI. L’ho saputo quando Bertuzzi è venuto a confermare il piano di volo. Non ricordo cioè se l’aereo aveva il cane a sei zampe disegnato all’esterno.[20]

Nell’ottobre 1962 ero in servizio alla stazione carabinieri di Catania Fontanarossa.

Ricordo di avere visto l’aereo di Mattei […]. Come di abitudine per noi carabinieri, non sapendo di chi fosse tale aereo, avevo chiesto a qualcuno che era presente di chi fosse tale aeroplano. Mi era stato risposto che era del presidente Mattei. […] Guardando l’aereo non mi ero accorto che fosse dell’ENI, tanto che avevo dovuto chiedere a chi apparteneva. […].[21]

Nell’ottobre 1962 ero in servizio alla stazione Carabinieri dell’aeroporto di Catania Fontanarossa. Il giorno in cui è morto […] Mattei io ero in servizio presso la stazione […]. Credo verso le ore 12 circa di quel giorno […] ero stato attirato da un piccolo bireattore parcheggiato a lato dell’aerostazione civile. Ero rimasto incuriosito perché avevo pensato che doveva trattarsi di un industriale importante. Siccome noi dovevamo tenerci informati sui personaggi di rilievo che transitavano, ufficialmente o privatamente, all’aeroporto, mi ero subito attivato per sapere di chi fosse l’aereo. Avevo chiesto al primo dipendente Alitalia che mi era capitato di chi era tale aereo e mi era stato risposto che era di Mattei […].[22]

Mario Adduci, riascoltato da Calia il 4 luglio 1997, dichiarò di ricordare un Morane – Saulnier 760 con una livrea diversa da quella dei colori aziendali che distinguevano gli aerei appartenenti alla flotta dell’ENI.[23]

   Anche in questo caso, le prove orali che il Dr. Calia porta a sostegno della sua tesi, vengono invalidate da un documento più attendibile, e, cioè, il libretto di circolazione dell’aeromobile I-SNAI. Da tale documento, non risulta che il velivolo abbia effettuato voli in nessun luogo nelle giornate del 26-27 ottobre 1962.[24] A differenza del libretto di volo del Comandante Bignardi, non è dato sapere se questo documento era a disposizione dell’inquirente. Ad ogni modo, il PM dimostra di aver acquisito copia dei registri aeroportuali di Catania-Fontanarossa: in questi registri non vi è alcuna annotazione circa la presenza dell’aviogetto I-SNAI.[25] L’inquirente, dunque, sembra aver ritenuto di nuovo più attendibili delle prove orali per accertare dei fatti, in luogo di altre fonti di prova certamente più probanti che erano a sua disposizione.

La perizia tecnica Belloni-Zanasi

      Parallelamente all’indagine della Commissione Ministeriale di Inchiesta, e, cioè, l’indagine tecnica svolta dall’Aeronautica Militare, venne svolta anche una indagine dalla Procura di Pavia tra il 1962 e il 1966; titolare dell’inchiesta fu il Pubblico Ministero Edgardo Santachiara.

   Nell’indagine condotta dal PM Santachiara, si prese in considerazione, tra le varie ipotesi che avevano potuto causare la caduta di I-SNAP, anche l’azione delittuosa. Il Magistrato di allora affidò una perizia tecnica al Dr. Ing. Belloni e al Dr. Ing. Zanasi, i quali affiancarono i professionisti dell’Aeronautica Militare. Nella relazione Belloni – Zanasi viene descritto il luogo dell’incidente; si espone lo studio effettuato sui relitti dell’aereo; si descrive l’aeromobile; vengono esaminate le testimonianze; si ricostruisce il volo; infine si espongono le deduzioni degli elementi raccolti nel corso delle indagini.

Nel capitolo sette paragrafo cinque di tale relazione, i periti Belloni e Zanasi, prendono in considerazione l’ipotesi di una azione delittuosa. I due periti, dimostrano di aver considerato che l’aereo avrebbe potuto essere sabotato in una maniera tale da farlo precipitare senza che questo si disintegrasse completamente durante il volo; venne pure presa in considerazione l’ipotesi di una bomba collegata al sistema di fuoriuscita del carrello, ma escludendola, in quanto il carrello di atterraggio era ancora in posizione retratta, e, inoltre, tale ipotesi venne esclusa in quanto un simile sabotaggio risulta essere tecnicamente troppo complesso. I due periti presero in considerazione questa ipotesi escludendola, anche in ragione del fatto che, l’aereo, nella mattinata del 27 ottobre 1962, effettuò soste brevi e rimase sotto la sorveglianza del Comandante Bertuzzi. Di seguito si riporta integralmente il capitolo sette paragrafo cinque della perizia Belloni – Zanasi:

    Per il carattere giudiziario della presente indagine e per la specificazione particolare dell’oggetto di essa (v. verbale di nomina dell’ing. Zanasi), l’ipotesi di una eventuale azione delittuosa di sabotaggio ha prevalentemente impegnato l’attenzione dei periti, i quali pertanto ritengono opportuno esporre alcune considerazioni preliminari, atte a meglio chiarire il loro giudizio.

E’ notorio che numerose e varie possono essere le modalità di attuazione di un atto di sabotaggio, come pure intuitivo è che alla causazione di un disastro aereo non è affatto necessario che il velivolo sia sottoposto, nel corso della navigazione, ad una azione distruttiva capace di disintegrarlo.

L’attentato può infatti realizzarsi con i sistemi più diversi, alcuni dei quali suscettibili di successiva individuazione, altri, invece, capaci di non lasciar traccia di sorta.

A titolo meramente esemplificativo si cita, accanto ai mezzi più comuni della predisposizione di ordigni esplosivi, della manomissione di un organo vitale, della introduzione di un corpo estraneo in un delicato congegno, l’ipotesi del ricorso ad agenti chimici i quali, una volta introdotti nei serbatoi del carburante, son poi capaci di determinare (liberati dalla capsula che li contiene) l’accensione dei vapori di questo con la esplosione dei serbatoi stessi, oppure, se diffusi nell’atmosfera dell’abitacolo dell’equipaggio, possono agire sulle persone che ne fan parte menomandone  la capacità di percezione e di autodeterminazione, giungendo gradualmente a determinare un vero e proprio stato di incoscienza delle stesse.

Orbene, delineate brevemente tali premesse, può immediatamente affermarsi che, sulla scorta delle osservazioni obbiettive svolte e già menzionate e delle risultanze istruttive, con assoluta certezza va scartato quel primo gruppo di azioni sabotatrici che solitamente restano individuabili, quali la collocazione nel velivolo di un ordigno esplosivo o qualunque altra manovra, atta a provocare la disintegrazione in volo, l’esplosione dei serbatoi o l’incendio.

Richiamando in proposito le considerazioni già svolte nei precedenti paragrafi, si ribadisce come dato inconfutabile che il velivolo si disintegrò solo a seguito del violentissimo urto contro il suolo e che, solo in seguito a ciò, ebbe a svilupparsi il parziale incendio, che ne distrusse alcune delle parti non infossatesi nel terreno.

A conforto sicuro di tale conclusione si rammenta: che i vari frammenti, non interratisi, furon proiettati tutti in avanti, in prosecuzione dell’ultima direzione di volo; che le rime di frattura riscontrate sulle strutture maggiori sono tutte tipiche dello schianto contro il suolo; che i reattori funzionarono fino all’ultimo al dovuto regime; che il carburante, in notevolissima quantità, irrorò la zona della fossa scavata dalla parte centrale del velivolo; che i resti anatomici del pilota e dei passeggeri non presentavano tracce di carbonizzazione anteriore al decesso, attribuito, a giudizio dei medici – legali, a traumatismo pluri-contusivo; che il carrello di atterraggio era ancora in posizione retratta, nell’interno degli alloggiamenti della fusoliera, all’atto della sciagura. Circostanza quest’ultima, che porta, in particolare, ad escludere una qualsiasi, sia pur minima e circoscritta, esplosione in dipendenza dell’azionamento del comando di fuoriuscita del carrello.

Per quanto invece concerne il secondo gruppo di possibili azioni delittuose, più insidiose e di solito sfuggenti alla posteriore osservazione obbiettiva (manomissione di un congegno, introduzione di un corpo estraneo, agenti chimici destinati ad agire sul pilota) appare evidente che un giudizio di esplosione, rivestente grado di analoga certezza, non è formulabile.

Ragion per cui i periti altro non possono, al riguardo, che affermare che nessun elemento obbiettivo (i danni constatati sui resti del velivolo trovan tutti spiegazione nell’urto contro il suolo, nessun oggetto non appartenente alla dotazione dell’aeromobile e nessun metallo, diverso da quelli impiegati dalla casa costruttrice, sono stati rinvenuti sul luogo della sciagura) è emerso nel corso delle operazioni, tale da accreditare, una ipotesi delittuosa, inquadrabile in detto secondo gruppo di azioni sabotatrici; ipotesi che, pertanto, resta nel campo della mera possibilità astratta, e che solo eventuali altri elementi di prova potrebbero avvalorare.

Tuttavia, se è vero che dai periti non può escludersi con certezza una ipotesi del genere, è doveroso rilevare che essa appare poco probabile per le ragioni che seguono.

La manomissione di un organo meccanico, la cui funzionalità venga poi meno nel corso della navigazione, non è opera da tutti, ma esige la competenza specifica di tecnici particolarmente addestrati, ai quali è poi necessario disporre di un apprezzabile lasso di tempo per poter porre allo scoperto il congegno da sabotare e per poi porre in atto il sabotaggio stesso.

Modalità di esecuzione queste che mal si conciliano, sotto il profilo logico, con la brevità delle soste effettuate dall’aereo nell’aeroporto di Catania nella giornata del 27 ottobre 1962, e con la sorveglianza che il personale di servizio e lo stesso comandante Bertuzzi esercitarono su di esso.

Vero è che in un velivolo a terra, gli organi del carrello son gli unici a rimanere scoperti, ed esposti quindi all’azione di eventuali malintenzionati che potrebbero di nascosto introdurvi un corpo estraneo (altra manomissione, si torna a ripetere, appare inverosimile per le difficoltà tecniche che avrebbe comportate) ma è altrettanto vero, nel caso concreto che nulla di anomalo è risultato dall’esame accuratissimo del relativo meccanismo, che per’altro, all’atto del sinistro, non era stato azionato dal pilota.[26]

Tale perizia viene citata dal PM Calia nella sua relazione, omettendone, però, gran parte del testo.[27] Il Magistrato scrive:

    Anche i periti nominati dal giudice istruttore hanno omesso di considerare, tra le varie possibili cause del disastro – anche solo per escluderla – l’ipotesi dell’esplosione limitata in grado di far precipitare l’aereo nella sua sostanziale integrità strutturale […].

   Occorre solo aggiungere che i periti del giudice, a differenza della commissione ministeriale di inchiesta, ammettono l’incompletezza della loro indagine a causa della estrema frammentazione dei resti, dovuta all’imponente impatto col suolo e all’incendio determinatosi dopo la caduta; non escludendo perciò – implicitamente – che tali eventi macroscopici abbiano potuto mascherare un evento più limitato, quale una piccola esplosione a bordo.[28]

Dalla lettura del capitolo sette paragrafo cinque della perizia Belloni – Zanasi, riportata integralmente, si evince invece che le varie ipotesi di sabotaggio – pur escludendole – sono state prese esplicitamente in considerazione, anche l’eventualità di un sabotaggio tale da non disintegrare completamente l’aereo in volo.

Conclusioni

   Le indagini condotte dal PM Calia, sembrano aver ricavato significative prove di una esplosione a bordo in seguito a delle perizie tecnico-scientifiche eseguite dall’ingegner Donato Firrao, ordinario del Politecnico di Torino. Nonostante i rottami dell’aereo all’epoca dei fatti vennero smaltiti, è stato comunque possibile reperire alcuni pezzi del velivolo, in particolare uno strumento di bordo, l’indicatore triplo, inserito dentro un contenitore sul quale erano ancora presenti le viti di fissaggio sul cruscotto in acciaio inossidabile austenitico. I periti hanno avuto a disposizione per le analisi anche alcuni effetti personali di Enrico Mattei, tra i quali un orologio e un anello in oro che il presidente dell’ENI, al momento del disastro aereo, indossava. Su questi reperti, il prof. Donato Firrao, ha eseguito delle analisi metallografiche e frattografiche che hanno dato come esito la certezza che tali oggetti sono stati esposti ad una esplosione. Il prof. Firrao sostiene che un’esplosione su questo tipo di metalli, l’acciaio inossidabile austenitico e l’oro, danno segni microstrutturali inequivocabili che possono essere rilevati mediante indagine metallografica. I reperti, dunque, sono stati analizzati al microscopio e si sono viste delle particolarità strutturali interne di tali metalli che possono essere causati solo da una esplosione. In altre parole, si sono osservati al microscopio dei difetti e delle deformazioni della struttura interna di questi metalli che possono essere causati solo da una esplosione derivante da una detonazione di una carica.[29]

   I reperti analizzati dal Prof. Firrao, vennero analizzati anche dal Colonello dei Carabinieri Giovanni Delogu, che eseguì delle analisi chimiche per cercare di rilevare tracce di esplosivo:

   L’analisi chimica, condotta inizialmente dal solo cap. Delogu e interessante i reperti n. 3150 D (due grumi di materiale di natura elettrica fortemente ossidato) e n. 3150 E (uno strumento “Indicateur Triple” per la navigazione aerea), si conclude negativamente: i materiali costituenti il reperto 3150 D erano fortemente inglobati in materiale di ossidazione per cui le eventuali tracce di esplosione si ritiene siano state irrimediabilmente compromesse dai fenomeni di ossidazione stessa. Il materiale costituente il reperto 3150 E invece era ben conservato è stato perciò sottoposto a osservazione macroscopica, per microscopia ottica e – in parte – per microscopia elettronica. Queste osservazioni hanno consentito di rilevare la presenza di tracce senz’altro riconducibili a urti violenti contro le superfici, non sono invece evidenti tracce macroscopiche di esposizione diretta ad esplosione. Al microscopio elettronico si è rivelata la presenza di tracce d’impatto di schegge a base di silice – proveniente, verosimilmente, dal vetro di protezione – sul quadrante dello strumento (indicatore triplo) ciò ha indotto il CTU a sospendere questo tipo d’indagine e proporre al magistrato un più approfondito studio delle citate tracce da condursi a opera di un esperto nel settore della genesi e dinamica delle schegge.[30]  

Dunque, sono stati trovati segni di esplosione ma non tracce di esplosivo. Il prof. ing. Mario Pelino sostiene che:

   Nelle indagini su attentati terroristici ad aerei di linea ci si basa, fondamentalmente, su tre evidenze: la scatola nera, le evidenze metallografiche sulla dinamica di deformazione plastica delle parti metalliche nella zona da cui si ritiene sia partita la deflagrazione e le analisi chimiche sui reperti per identificare il tipo di esplosivo utilizzato. Questo anche al fine di capire come sia stato introdotto nell’aeromobile e perché non rivelato prima dell’imbarco. Oggi le tecniche di analisi chimica sono sofisticate al punto da rilevare composti anche in percentuale di ppb (parti per miliardo). Quanto all’aereo di Mattei, se si fossero trovate tracce di composti imputabili ad esplosivi, non vi sarebbero stati dubbi sulla dinamica dell’incidente. Così i dubbi permangono. Inoltre, se non erro, l’incidente avvenne in fase di atterraggio. Negli attentati si fa avvenire la deflagrazione in quota. Trattandosi però di un volo privato senza un orario prefissato di decollo, questa considerazione è opinabile. Infine, non mi pare si siano trovati reperti riferibili al meccanismo di scoppio della carica esplosiva.[31]

Con ciò non si vuole (e non si può) mettere in dubbio le prove ricavate dalla perizia del prof. Donato Firrao: l’opinione del prof. ing. Pelino è di natura puramente teorica, e non è il risultato di una prova di laboratorio. Dunque, dal punto vista scientifico, non ha nessun valore. Allo stesso modo, può essere significativa l’opinione di un medesimo esperto della materia che trova corrette le conclusioni dei consulenti tecnici del magistrato.

    il Prof. Donato Firrao ed i suoi collaboratori, sono noti studiosi metallurgisti ed esperti di meccanica della frattura ed, in quanto tali, sono stati spesso coinvolti in casi di Failure Analysis di rilevanza nazionale.

Sulla base di ben noti meccanismi di deformazione plastica dei materiali metallici, trovo corrette le conclusioni alle quali i Colleghi sono arrivati, ed in particolare per le interpretazioni riguardanti la presenza dei cristalli geminati formatisi nelle lega di oro-argento dell’anello e delle linee di scorrimento da deformazione plastica localizzata rilevate nella lega di alluminio.[32]

   L’assenza di I-SNAI a Catania nei giorni 26 e 27 ottobre 1962, dimostra certamente che il meccanismo di scoppio di una bomba collocata sull’I-SNAP non poteva essere il comando che azionava il sistema di fuoriuscita del carrello, ma non dimostra necessariamente l’assenza di un ordigno esplosivo sull’aereo; dunque, l’assenza di I-SNAI non basta a invalidare la tesi dell’attentato[33] sostenuta dal PM Calia.

   Ma se I-SNAI non c’era a Catania, l’I-SNAP quando sarebbe stato sabotato?

Il PM Calia – come già detto – ipotizza che I-SNAP sia stato sabotato tra la notte del 26 e 27 ottobre, e, per stessa ammissione del magistrato, Bertuzzi ha vigilato l’aereo per tutto il tempo fino alla partenza per Milano-Linate avvenuta alle 16,57.[34] A confermare questa circostanza c’è anche una testimonianza di Filippo Rosano,[35] il gestore del bar dell’aeroporto di Catania:

   Appena vidi avvicinare il gruppetto diedi ordine al barista affinché offrisse gratuitamente la consumazione. L’ing. Mattei volle una coca-cola; D’angelo, il giornalista americano ed il Vice prefetto presero un caffè ciascuno. Mattei appariva scuro in viso; il giornalista, invece, sembrava molto contento. Appena prese il caffè, il giornalista volle indicata la toilette. Quando riornò al bar mi diede da cambiare una banconota da mille lire perché – mi disse – non aveva spiccioli per dare la mancia alla custode della toilette. Cambiandogli i soldi, gli diedi due pezzi da cinquanta lire ma egli li rifiutò dicendo che voleva dare come mancia cento lire e non cinquanta. Il gruppetto ritornò quindi sulla pista. Accanto all’aereo dell’ENI c’era il pilota, comandante Bertuzzi. Il velivolo era parcheggiato ad una cinquantina di metri dal cancello attraverso il quale dall’aerostazione si accede alla pista, proprio di fronte al bar. Per tutto il tempo che l’aereo rimase lì, il pilota praticamente non lo perse mai di vista. Anzi, in proposito, mi ricordo che quando si fece preparare qualcosa da mangiare, qui, dal ristorante, volle spostato il tavolo vicino alla finestra-balcone attraverso la quale si passa dal ristorante alla terrazza, in modo da continuare a vedere l’aereo anche mentre mangiava.[36]

Per sabotare l’aereo così come ha ipotizzato il magistrato Calia nella sua indagine, occorrerebbero diverse ore di tempo. Inoltre, per installare un ordigno esplosivo agli organi di comando dell’impianto di atterraggio sarebbe necessario sollevare il muso dell’aeromobile, e, di conseguenza, il sabotatore dovrebbe lavorare in una condizione tale da non essere visto da nessuno.[37]


[1] FULVIO BELLINI, Il Secolo XX, Enrico Mattei è stato assassinato, 19 marzo 1963; Enrico Mattei è stato assassinato. Attorno a questa fossa la congiura della menzogna, 26 marzo 1963; Enrico Mattei è stato assassinato. La telefonata della morte, 2 aprile 1963.

[2] FRANCESCO FUSCO, NINO MARINO, Nuovo Mondo d’Oggi, Enrico Mattei è stato ucciso. Ecco la storia dell’attentato che costò la vita al presidente dell’ENI: non fu una disgrazia, 26 giugno 1968; FRANCESCO FUSCO, Nuovo Mondo d’Oggi, La vedova di Mattei accusa: mio marito fu assassinato, 3 luglio 1968; FRANCESCO FUSCO, Nuovo Mondo d’Oggi, Chi ha paura del “caso Mattei”, 10 luglio 1968.

[3] FULVIO BELLINI, ALESSANDRO PREVIDI, L’assassinio di Enrico Mattei, Milano, Edizioni Flan, 1970.

[4]  Cfr. RICCARDO DE SANCTIS, Delitto al potere. L’incidente di Mattei, il rapimento di De Mauro, l’assassinio di Scaglione, Roma, Edizioni Samonà e Savelli, 1972, pp. 37-51.

[5] Cfr. PHILIPPE THYRAUD DE VOSJOLI, Lamia. L’anti-barbouze, Louvaine, les editions de l’homme, 1972, pp. 360-368.

[6]  Cfr. FRANCESCO ROSI, EUGENIO SCALFARI, Il caso Mattei. Un corsaro al servizio della repubblica, Bologna, Cappelli editore, 1972. Molto si è discusso sul perché Rosi abbia lasciato il finale aperto, e, cioè, non abbia suggerito solo la tesi del sabotaggio, nonostante il regista – il quale interviene lui stesso in alcune scene – lascia intuire che egli propenda per la tesi dell’attentato. Durante la lavorazione del film, pare ci fosse una “supervisione” da parte di alcuni dirigenti dell’ENI, in quanto l’azienda di Stato diede effettivamente un sostegno economico per la realizzazione dell’opera cinematografica. Questa circostanza è stata interpretata da Calia e da Sabrina Pisu come la volontà da parte dell’ENI di esercitare un controllo sul film e sugli autori per indurli, in qualche modo, a non rendere troppo esplicita la tesi del sabotaggio. Ad ogni modo, Rosi era convinto della tesi dell’attentato, dichiarandolo, anche in anni recenti, pubblicamente. Nel 2012 a Matelica, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, venne conferita la cittadinanza onoraria al regista e al Dott. Vincenzo Calia. Durante la cerimonia, Rosi dichiarò che grazie all’impegno del magistrato, oggi è possibile affermare che Mattei fu vittima di un attentato (https://www.youtube.com/watch?v=9MZn_jMCssc).

[7] VINCENZO CALIA, SABRINA PISU, Il caso Mattei. Le prove dell’omicidio del presidente dell’Eni dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità, Milano, Chiarelettere, 2017.

[8] Solo per ricordarne alcune: BENITO LI VIGNI, Il caso Mattei. Un giallo italiano, Roma,Editori Riuniti, 2003; GIORGIO GALLI, Enrico Mattei: petrolio e complotto italiano, Milano, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2005; ALBERTO MARINO, Enrico Mattei deve morire! Il sogno senza risveglio di un paese libero, Roma, Castelvecchi, 2014; EGIDIO CECCATO, Il delitto Mattei. Complicità italiane in un’operazione segreta della Guerra Fredda, Roma, Castelvecchi, 2019; MARIO CALIGIURI (a cura di), Enrico Mattei e l’intelligence. Petrolio e interesse nazionale nella guerra fredda, Catanzaro, Rubbettino, 2022; GIUSEPPE ODDO, RICCARDO ANTONIANI, L’Italia nel Petrolio, Mattei, Cefis, Pasolini e il sogno infranto dell’indipendenza energetica, Milano, Feltrinelli, 2022. A queste pubblicazioni, si possono aggiungere alcune opere televisive e cinematografiche: Processo al silenzio: il mistero della morte di Enrico Mattei, di Claus Bredenbrock e Bernhard Pfletschinger (2000); Blu notte – Misteri italiani: Il caso Enrico Mattei, di Carlo Lucarelli (2001); Enrico Mattei – L’uomo che guardava al futuro, con Massimo Ghini e Vittoria Belvedere, regia di Giorgio Capitani (2009).

[9] Archivio Storico dell’Aeronautica Militare, Relazione di inchiesta sull’incidente avvenuto il 27 ottobre 1962 in località Bascapè (Pavia), aeromobile M.S. 760 B, I – SNAP, fondo incidenti di volo velivoli civili 1962 n. 40 “caso Mattei”, p. 40.

[10] Procura della Repubblica presso il tribunale di Pavia, Vincenzo Calia, Richieste del Pubblico Ministero (ai sensi dell’art. 415 c.p.p.), Procedimento penale n.181/94 mod.44. Le indagini sono state svolte dai marescialli Enrico Guastini, Antonio Trancuccio e dall’appuntato Giovanni Pais, dei Carabinieri di Pavia, p. 3.

[11] Ivi, pp. 426-428.

[12] PIERO CALAMANDREI, Il giudice e lo storico in Rivista di diritto processuale civile, Padova, cedam-casa editirce dott. Antonio Milani, 1939 – XVII-XVIII, pp. 105-128. Sulla figura del giudice e dello storico cfr. anche CARLO GINZBURG, Il giudice e lo storico. Considerazioni in margine al processo Sofri, Macerata, Quodlibet, 2020.

[13] Procura della Repubblica presso il tribunale di Pavia, op. cit., p. 259.

[14] cfr. LUPO RATTAZZI, Il “caso Mattei”: come si fabbrica un attentato inesistente in www.casomattei.com.

[15] Procura della Repubblica presso il tribunale di Pavia, op. cit., p. 265.

[16] Ivi, pp. 265-266.

[17] Ivi, p. 266.

[18] Ivi, pp. 266-267.

[19] Ivi, pp. 268.

[20] Ivi, pp. 252-253.

[21] Ivi, p. 253.

[22] Ibidem.

[23] Cfr. ivi, p. 252.

[24]  cfr. LUPO RATTAZZI, op. cit.

[25] Cfr. Procura della Repubblica presso il tribunale di Pavia, Vincenzo Calia, Richieste del Pubblico Ministero, op. cit., p. 265.

[26] Procura della Repubblica Pavia, Dr. Ing. G.C. BELLONI, Dr. Ing. ADELIO ZANASI, Perizia Tecnica depositata il 20/6/1963 F.to il S. Procuratore della Repubblica Santachiara in allegato al Procedimento penale n. 2471/62 R.G. Procura di Pavia, capitolo sette paragrafo cinque.

[27] Così Calia riporta la perizia tecnica Belloni-Zanasi: «È risultato evidente dall’insieme delle investigazioni compiute che l’incidente è avvenuto con improvvisa e fulminea rapidità e senza che a bordo dell’aereo si fosse manifestato in precedenza alcun fatto allarmante. Infatti appena pochi minuti prima del compiersi della catastrofe (forse non più di un minuto) il pilota aveva comunicato alla torre di Linate (ore 18.57.10 con voce calma, naturale e priva di qualsiasi apparenza di apprensione) che era a 2000 piedi e che avrebbe confermato il sorvolo del radiofaro. Pertanto fino a quel momento a bordo tutto era regolare. L’aeroplano è caduto in configurazione normale di crociera cioè con il carrello, i flaps e gli aerofreni in posizione retratta e pertanto è da ritenersi che durante la caduta stessa il pilota non abbia tentato alcuna manovra di emergenza. Anche i reattori dovevano funzionare regolarmente e verosimilmente giravano al regime raccomandato per la discesa in avvicinamento. L’urto al suolo avvenne secondo una traiettoria ripidissima in spirale a destra e a velocità certamente elevatissima e quindi è evidente che durante l’ultima fase del volo l’aeroplano non era più sotto il controllo del pilota. Il quadro dell’incidente è quindi sotto ogni riguardo tale da doversi escludere una qualsiasi graduale successione di avvenimenti. Il fatto è accaduto all’improvviso e il tutto si è svolto in pochi secondi. Per accertare la causa che ha determinato l’incidente sono stati svolti gli accertamenti più accurati e minuziosi però senza esito positivo. Lo stato di estrema frantumazione del velivolo e ancora più le gravi distruzioni causate dall’incendio non hanno consentito di analizzare tutte le parti dell’aeroplano (strutture, installazioni, apparecchiature, comandi, ecc.) e pertanto l’indagine non ha potuto essere completa e non ha potuto fornire indizi sufficienti per l’identificazione della vera causa del sinistro …”» (Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia, Vincenzo Calia, Richieste del Pubblico Ministero, op. cit., p. 129 nota 511).

[28] Ivi, pp. 128-129.

[29] Cfr. DONATO FIRRAO, Was there a bomb on Mattei’s aircraft?, Politecnico di Torino, Dipartimento di scienza dei materiali e Ingegneria Chimica, 2009; DONATO FIRRAO, The way the mistery of the Mattei’s case was solved, Politecnico di Torino, Dipartimento di scienza dei materiali e Ingegneria Chimica, 2010; DONATO FIRRAO,  I microgeminati meccanici ed il caso Mattei. Ovvero una risposta al microscopio: sull’aereo di Mattei c’era una bomba, Politecnico di Torino, Dipartimento di scienza dei materiali e Ingegneria Chimica.

[30] Procura della Repubblica presso il tribunale di Pavia, Vincenzo Calia, Richieste del Pubblico Ministero, op. cit., p. 112.

[31] Intervista dell’autore in data 22/05/2023.

[32] Intervista dell’autore in data 30/10/2024 al Prof. Ing. Gianluca Garagnani, ordinario di metallurgia, Dipartimento di Ingegneria, Università degli Studi di Ferrara.

[33] Lupo Rattazzi sostiene che l’assenza di I-SNAI sia sufficiente a dimostrare la tesi dell’incidente e a invalidare la tesi dell’attentato, in quanto I-SNAP, durante la mattina del 27 ottobre 1962, ha effettuato il volo Catania-Gela-Gela-Catania, compiendo l’aereo per due volte l’estrazione del carrello (cfr. LUPO RATTAZZI, op. cit.).

[34]  Cfr. Procura della Repubblica presso il tribunale di Pavia, op. cit., p. 259.

[35] Una testimonianza di Filippo Rosano viene riportata anche nella relazione della Commissione Ministeriale di Inchiesta, ma non è di grande interesse: «Io sottoscritto Rosano Filippo, gestore del bar ristorante della Aerostazione Fontanarossa di Catania, dichiara quanto segue: il giorno 27 ottobre il Com.te Bertuzzi Irnerio ha pranzato presso il ristorante dell’aeroporto e gli è stato servito: spaghetti al pomodoro – calamari fritti – frutta fresca (uva) – ¼ di birra – I caffè» (Testimonianza di Rosano Filippo in volume appendici in Archivio Storico dell’Aeronautica Militare, op. cit.).

[36] Archivio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia, procedimento penale 181/94, busta contenente nr. 78 fogli dattiloscritti riguardanti vicende relative al caso Mattei, p. 9. Si tratta di un fascicolo che era a disposizione del PM Vincenzo Calia. I documenti vennero recuperati presso la famiglia del Com.te Irnerio Bertuzzi: tale documentazione – come viene specificato sul fascicolo – è di provenienza ignota. Tuttavia, questa testimonianza attribuita a Filippo Rosano sembra essere attendibile, in quanto viene menzionata anche nella sentenza della Corte d’Assise del Tribunale di Palermo sul “caso De Mauro” (Cfr. Tribunale di Palermo, Sentenza della Corte d’Assise, Procedimento De Mauro, pp. 1339-1340).

[37] Cfr. LUPO RATTAZZI, op. cit.

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