La congiura contro Enrico Mattei: una vulgata che nasce all’indomani di Bascapè

   Nel marzo 1963, sulla rivista Secolo XX diretta da Giorgio Pisanò, comparve una inchiesta in tre puntate dal titolo “Enrico Mattei è stato assassinato”[1]. L’autore degli articoli fissò la versione dell’attentato che, da qui in poi, sarà ripresa da altre inchieste giornalistiche di tipo scandalistico. Bellini, sosteneva che l’aereo di Enrico Mattei sarebbe stato sabotato con una bomba poco prima che questo decollasse da Catania per Milano-Linate. L’ordigno esplosivo – secondo l’autore – avrebbe fatto esplodere l’aereo poco prima dell’atterraggio, nel momento in cui il pilota avrebbe azionato il comando che permetteva al carrello di fuoriuscire. Tra i mandanti del delitto, Bellini ipotizzava il coinvolgimento delle sette compagnie petrolifere anglo-americane o l’OAS (Organisation de l’armée secrète): i primi avevano l’interesse a eliminare Enrico Mattei in quanto la politica dell’ENI disturbava i loro interessi in Medio Oriente; i secondi avevano l’interesse a fermare gli accordi commerciali tra l’ente di Stato italiano e il nuovo governo dell’Algeria indipendente. Questa inchiesta venne presa in considerazione dal PM Edgardo Santachiara, il Magistrato titolare della prima inchiesta penale. L’inquirente giudicò infondata l’inchiesta firmata da Bellini, in quanto si trattava di una ricostruzione fantasiosa dei fatti, priva di fonti attendibili. Inoltre – secondo gli inquirenti – l’autore probabilmente l’aveva scritta per motivi ricattatori, in quanto egli cercava una sistemazione lavorativa presso l’ENI.[2]

   Fulvio Bellini, l’autore degli articoli, sembra essere una figura controversa. Nato a Milano il 28 maggio 1923, partecipa alla resistenza come partigiano semplice nella 110° Brigata Garibaldi SAP operante nella zona di Lambrate. Successivamente, si iscrive al Partito Comunista Italiano (PCI), nel quale però non ha mai ricoperto incarichi direttivi; ne venne espulso per deviazionismo. Dopo aver frequentato gruppi di comunisti dissidenti facenti capo all’ex dirigente del PCI Onorato Damen, nel 1951 si unisce a gruppi titoisti senza tuttavia assumere incarichi in tali organizzazioni. La frequentazione di questi nuclei dissidenti della sinistra, permette a Fulvio Bellini di accedere ad una certa documentazione sugli avvenimenti della emigrazione politica, non del tutto noti in Italia; tali informazioni sono state utilizzate da Bellini per redigere con Giorgio Galli la Storia del Partito Comunista Italiano. Nel 1954, improvvisamente, da posizioni di estrema sinistra passa a “Pace e Libertà”, diretta da Edgardo Sogno e Luigi Cavallo, quest’ultimo ex collaborazionista dei tedeschi passato nel 1945 al PCI ed in seguito espulso dal partito. “Pace e Libertà” era strettamente collegata con il comitato Internazionale di Azione Sociale (C.I.A.S.) con sede a Bonn e diretto da un ex colonnello del servizio informazioni tedesco già operante durante il conflitto mondiale a Lisbona. Alla fine del 1954 il gruppo “Pace e Libertà” si scinde in due tronconi: la direzione di Pace e Libertà passa a un certo Adelino Ruggeri ex dirigente socialista, e animatore a Brescia di gruppi di estrema destra. La scissione era stata determinata da motivi di carattere prettamente finanziario dato che Cavallo e Bellini erano convinti di poter accedere direttamente alle fonti di finanziamento a cui attingeva Edgardo Sogno. La lotta tra i due gruppi aveva anche uno strascico in sede giudiziaria, con cause e contro cause, ma tutto veniva posto a tacere dall’Ing. De Rossi della Microtecnica di Torino, finanziatore dei più compromessi, il quale temeva che in sede di giudizio, venissero fatti i nomi di coloro che stanziavano i fondi. Dopo aver svolto attività di capo-redattore del mensile “Fronte del Lavoro”, Bellini inizia nel 1957 una saltuaria attività di collaborazione con il settimanale “Candido”, allora diretto da Alessandro Minardi ed edito dall’editore Rizzoli. Nel 1962-63 lo vediamo direttore dell’Agenzia A-Servizio Borsa. Dopo questa parentesi non politica si aggrega alla organizzazione di estrema destra, fondata da Giorgio Pisanò, “Seconda Repubblica” in concorrenza con il “Fronte democratico per una Nuova Repubblica” fondato da Randolfo Pacciardi. Dal 1963 al 1970 Bellini lavorò attivamente al fianco di Giorgio Pisanò, prima al “Secolo XX” e poi al “Candido”, dedicandosi anche alle ricerche storiche per i volumi neo-fascisti “Parà” e “Ultimi in grigio verde”. Collaborò anche alla stesura della Storia della Guerra civile in Italia, svelando i retroscena dell’attività comunista durante quel periodo. Nell’ottobre del 1968, su Candido, è tra i promotori della azione contro gli enti di Stato per l’affare Montedison. Alla fine del 1969, accetta le offerte che gli vengono dall’industriale milanese Gianvittorio Figari (liberale) e, nel marzo 1970, passa alle sue dipendenze, dando inizio ad una campagna diffamatoria nei confronti del Pisanò. Bellini fu anche in contatto con il capo della squadra politica della PS di Milano, Antonino Allegra, con il quale svolse un ruolo di confidente.

   Secondo una fonte, Fulvio Bellini sarebbe un mitomane, che vede omicidi dappertutto, rivolgendo accuse infamanti a uomini e organizzazioni politiche, atteggiandosi a moralizzatore e vendicatore di presunte ingiustizie; sarebbe anche un maestro nel costruire i falsi: viene riferito, infatti, che lo si vedeva spesso in biblioteca intento allo studio e alla preparazione di qualcosa del genere. Fra i falsi che vengono menzionati, vi è l’accusa a Di Vittorio di essere stato il mandante dell’assassinio dei fratelli Rosselli. Furono costruiti falsi anche relativi a noti esponenti dell’antifascismo, fatti in modo da farli vedere come spie dell’OVRA. I documenti – viene detto – infatti avevano le caratteristiche della credibilità, in quanto Bellini si era specializzato nella loro ricostruzione attraverso attente letture in biblioteca. Per compromette alcuni antifascisti, riuscì a falsificare anche la pubblicazione clandestina “La Nostra Lotta”, riportando un fotomontaggio su “Candido”, smentito clamorosamente dal tipografo signor Ambrogio Mauri, che aveva composto il foglio clandestino al tempo della guerra di liberazione. Altro falso sarebbe stato quello relativo alla costituzione di un presunto sindacato artigiani che doveva concedere anche contributi alle piccole aziende. I veri sindacati diffidarono quello del Bellini e si presume vi sia stata anche una denuncia per truffa.[3]

Il “caso Mattei” nel Nuovo Mondo d’Oggi

   Nel 1968 – tra il mese di giugno e luglio – Francesco Fusco e Nino Marino firmano tre articoli pubblicati sulla rivista “Nuovo Mondo d’Oggi” diretta da Mino Pecorelli. Negli articoli, vengono riprese le argomentazioni di Fulvio Bellini, e, dunque, la tesi dell’attentato voluto dalle multinazionali del petrolio, e la tesi dell’aereo sabotato con una bomba che potesse esplodere durante la fase di atterraggio, in modo tale da far sembrare il delitto un banale incidente aereo.[4] Anche questa inchiesta giornalistica sembra essere del tutto inattendibile, ed è uno dei due autori ad ammetterlo. Nino Marino, ascoltato dagli inquirenti della procura di Palermo che fino al 2011 hanno indagato sulla scomparsa di Mauro De Mauro, dichiarò di aver preso le distanze da quella inchiesta, in quanto egli non credeva alla tesi del sabotaggio, ma, anzi, dato che Marino aveva una modesta esperienza in campo aeronautico avendo la licenza di volo, disse a Mino Pecorelli che Mattei – vista la dinamica del disastro aereo – era morto in un tragico incidente. Tuttavia, Pecorelli gli impose di scrivere una inchiesta che sosteneva la tesi della cospirazione, sulla scia di quanto era già apparso su altri articoli di stampa.[5]

Il “caso Mattei” nelle pagine del Candido

La morte di Enrico Mattei e le teorie della cospirazione, tornano sulla stampa in concomitanza di due eventi: la scomparsa di Mauro de Mauro e l’acquisizione del controllo della Montedison da parte del gruppo ENI.

L’ENI e la Montedison

     La Montecatini – Edison (successivamente rinominata Montedison) nacque nel dicembre 1965 dalla fusione tra Montecatini, la più importante azienda chimica italiana, e la Edison, gruppo industriale che aveva il suo core business nella produzione e nella distribuzione dell’energia elettrica. Questa azienda, già a partire dagli inizi degli anni Cinquanta, e, dunque, ben prima che l’industria dell’energia elettrica venisse nazionalizzata con la costituzione dell’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL), iniziò una espansione nel settore della chimica di base.[6]

   Fino al 1948 il gruppo Edison aveva operato nel campo dell’energia elettrica in una situazione di monopolio; successivamente, con la fine degli anni Quaranta, iniziò una strategia di diversificazione andando a privilegiare il settore della chimica. Negli anni successivi, sia le incoraggianti prospettive del settore chimico e sia il timore della nazionalizzazione dell’industria elettrica, rafforzarono ancora di più l’impegno della Edison a diminuire gli sforzi nel proprio core business e a incrementare gli investimenti nella chimica, e, inoltre, anche se con una crescita confusa, entrare in settori quali la siderurgia, la metalmeccanica, l’elettronica, l’elettromeccanica, il tessile e l’abbigliamento, l’alimentare, l’ingegneria civile e nella distribuzione con l’acquisizione della Standa.[7] 

   La strategia che venne adottata per entrare nel settore chimico, fu quello di costituire delle nuove imprese in joint venture con i gruppi esteri: la Sicedison nella petrolchimica con la Monsanto; la Celene nelle plastiche con la Union Carbide; l’Acsa nelle fibre con la Chemstrand, consociata della Monsanto. Queste attività, però, non diedero risultati soddisfacenti. L’Edison incontrò grandi difficoltà, principalmente per il fatto che non aveva la necessaria esperienza nell’operare nel settore della chimica. A supplire all’inesperienza della Edison nel campo della chimica c’era la Montecatini, azienda da sempre attiva in questo settore ma che versava in gravi condizioni finanziarie. L’Edison, con la nazionalizzazione dell’industria elettrica, aveva ricevuto dallo Stato gli indennizzi per le attività espropriate, e, quindi, i risarcimenti avevano fornito al gruppo industriale ingenti risorse finanziarie. Furono queste le circostanze che portarono alla fusione della Montecatini con la Edison, e cioè: da una parte la Edison che aveva iniziato l’espansione in un settore (il chimico) nel quale aveva poca esperienza; dall’altra parte la Montecatini, che operava da sempre nella chimica ma versava in gravi condizioni economiche. La fusione delle due aziende, dove l’una portava le risorse finanziarie e l’altra contribuiva con la sua grande esperienza, venne vista bene dal mondo industriale, economico e politico italiano, dato che tale fusione portava alla nascita di una grande azienda attiva nella chimica che avrebbe potuto competere con in grandi gruppi chimici stranieri (Dupont; Imperial Chemical Industries; Bayer; Monsanto; Hoechst; Rhône-Poulenc).[8]

   Le aspettative riposte nella nuova società vennero deluse: nel corso degli anni, emersero chiaramente i limiti dell’azienda che non erano stati accuratamente valutati.

   La fusione delle due aziende pose prima di tutto problemi di coordinamento che non vennero risolti se non parzialmente; non venne fatta un’opera di riorganizzazione delle società, per essere inserite in una struttura organica e unitaria. Al termine del decennio, l’azienda continuava ad essere un grande conglomerato di attività non coordinate in un indirizzo unitario di sviluppo, e espressione di tante iniziative già intraprese a suo tempo dalla Montecatini e dalla Edison, maggiormente nel settore delle materie plastiche. Allo stesso tempo, non si affrontava l’assenza, o, comunque, la debolezza dell’azienda nei campi della chimica fine e secondaria; non si metteva neanche fine allo sperpero di risorse in attività extra chimiche o che con la chimica non avevano nulla a che vedere. Infatti, nel settore tessile, settore nel quale si era rafforzato l’impegno ancora prima della fusione, i risultati economici furono negativi; così come furono negativi i risultati nei settori della meccanica, elettromeccanica, dell’elettronica e delle costruzioni e montaggi. Nel campo dell’alimentare si avevano delle situazioni contrapposte: la Italpi dava buoni utili, mentre la Cga era in perdita. Nel settore delle fibre e della farmaceutica la redditività precipitò rapidamente a partire dal 1967.[9]

   I mancati risultati economici e il mancato obiettivo di dare vita a un gruppo industriale chimico efficiente – in grado di andare oltre al campo della chimica di base – spinse la classe dirigente a togliere la fiducia al management di Montedison, e, dall’aprile 1968, il Ministero delle partecipazioni statali, autorizzò l’IRI e l’ENI ad acquistare le azioni in borsa della Montedison, al fine di prendere il controllo dell’azienda per poterne poi cambiare la politica di gestione. L’ENI ambiva ad avere la posizione di maggioranza nell’azionariato di Montedison, cosicché avrebbe potuto gestire meglio gli scontri che l’ente di Stato aveva con il gruppo industriale privato, dato che l’ENI operava nella chimica con l’Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili (ANIC).[10] 

   Vi era chi si opponeva al take over dell’ENI alla Montedison: i giornalisti Giorgio Pisanò, Fulvio Bellini e Alessandro Previdi. Essi erano tra gli organizzatori dei comitati di piccoli azionisti Montedison che cercarono di impedire a Eugenio Cefis di ottenere il controllo del gruppo chimico privato. Gli strumenti utilizzati da loro era l’uso strumentale della morte di Enrico Mattei.

   Bellini e Previdi, all’inizio degli anni Settanta, iniziarono a insinuare che dietro la tragica e violenta scomparsa del primo presidente dell’ENI avrebbe potuto avere un ruolo Eugenio Cefis, e, dunque, si voleva indirizzare l’opinione pubblica in questa direzione. Non a caso, la pubblicazione del noto libro di Bellini e Previdi, “L’assassinio di Enrico Mattei”,[11] risale proprio al 1970. Questo libro, che verrà utilizzato da Francesco Rosi per scrivere la sceneggiatura del suo film inchiesta “Il caso Mattei” (1972), venne finanziato dall’ingegner Cavalli, collaboratore dell’ingegner Valerio, amministratore delegato e presidente della Montedison, all’epoca in contrasto con Cefis e l’ENI per la scalata del gruppo pubblico a quello privato. Il fatto che il libro firmato da Bellini e Previdi da usare contro Cefis sia stato finanziato da un collaboratore di Valerio, è lo stesso Bellini a confermarlo. Nell’ambito della seconda inchiesta sulla morte di Enrico Mattei, Bellini venne interrogato dal PM Vincenzo Calia, appunto per spiegare il contesto nel quale comparvero, agli inizi degli anni Settanta, pubblicazioni volutamente diffamatorie e ricattatorie nei confronti di Cefis, ossia il contrasto tra Valerio e l’ENI per il controllo della Montedison. Bellini disse:

   […] È vero che ho accennato […] circa un finanziamento del mio libro “L’assassinio di Enrico Mattei”. Colui che mi ha suggerito di scrivere quel libro, fornendomene anche un modesto aiuto finanziario, fu l’ing. Cavalli, all’epoca stretto collaboratore dell’ing. Valerio, quest’ultimo avversario di Cefis per il timore che il presidente dell’ENI lo scalzasse dal controllo della Montedison […].[12]

Il “caso Mattei” compare in diversi articoli del “Candido. Il settimanale del sabato”, dal novembre del 1970 in poi, firmati da Giorgio Pisanò. Fascista mai pentito, Pisanò dal Secondo dopoguerra è un militante del Movimento Socialista Italiano (MSI), e dalle pagine del Candido – settimanale di cui egli era il direttore – sferrava feroci attacchi contro il comunismo, il Partito Socialista, e, anche, contro le aziende di Stato.

   Sfruttando il clamore mediatico sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro e la cosiddetta “pista Mattei” seguita all’epoca dalla squadra mobile della Polizia – ossia la pista investigativa che collegava la scomparsa del giornalista di Palermo alla morte di Enrico Mattei[13] – Pisanò ripropose l’inchiesta sulla morte del presidente dell’ENI. L’inchiesta, intitolata “Mauro De Mauro: gli assassini di Enrico Mattei colpiscono ancora” è, in realtà, una riedizione dell’inchiesta apparsa nel marzo-aprile 1963 sul Secolo XX a firma di Fulvio Bellini. Questi articoli – probabilmente – furono scritti da Pisanò, in quanto egli ne rivendica la paternità sul Candido del 6 febbraio 1972, nel quale scrive che la sua inchiesta è stata usata dal regista Francesco Rosi per realizzare il noto film su Mattei senza mai citarla. Ciò che è stato interessante constatare a seguito dello spoglio delle annualità del Candido dal 1968 in poi, è il fatto che le inchieste sulla morte di Enrico Mattei – dove veniva insinuato un coinvolgimento di Eugenio Cefis nella presunta congiura – comparivano negli stessi numeri nei quali Pisanò attaccava l’ENI e Cefis per la vicenda ENI-Montedison, e, cioè, il tentativo dell’azienda petrolifera di Stato di prendere il controllo del gruppo chimico privato. Dal 1968 in poi, Pisanò, dalle pagine del Candido, si fece promotore di una battaglia contro gli enti di stato (ENI e IRI), per evitare che i grandi gruppi pubblici prendessero il totale controllo della Montedison. I piccoli e medi azionisti venivano invitati a non vendere i titoli in loro possesso, per evitare che poi questi potessero essere rastrellati in borsa dalle aziende di Stato – ENI in primis – con la finalità di avere la maggioranza delle azioni, e, di conseguenza, il controllo dell’azienda. Il Candido, inoltre, si fece promotore della creazione delle associazioni degli azionisti Montedison, e, cioè, L’associazione Difesa Azionisti (ADA) e l’Unione Nazionale Azionisti Montedison (UNAM). L’obiettivo di queste associazioni era quella di mettere insieme un cospicuo numero di azioni per avere un cosiddetto “sindacato di voto”, ossia un patto parasociale tra i gruppi dei piccoli e medi azionisti Montedison, che aveva la finalità di esercitare un controllo e difendere il carattere privatistico dell’azienda.[14]

Giorgio Pisanò, Eugenio Cefis e la Montedison

   Giorgio Pisanò, nel luglio 1968, entrò in contatto con Giovannino Guareschi al quale propose di rieditare il settimanale “Il Candido”. Dopo alcuni contatti nel mese di luglio fu decisa la costituzione della società a responsabilità limitata “Val Padana” stabilendo le quote di partecipazione nella seguente misura: 55% Gurareschi, 40% Pisanò attraverso la madre, e il 5% dott. Cucchiella. Quest’ultimo vanne nominato unico dalla nascente società.

   Nell’agosto dello stesso anno si ebbe la morte di Giovannino Guareschi. La quota del defunto dai suoi stessi parenti fu ceduta gratuitamente a Giorgio Pisanò che in tal modo ebbe la possibilità di impadronirsi della testata del giornale, che iniziò le pubblicazioni nel settembre del 1968.

   Alla fine di ottobre si ebbe il primo bilancio interno della “Val Padana” con un deficit di una decina di milioni. Tale circostanza determinò il ritiro del dott. Cucchiella da amministratore della società stessa, e la nomina al suo posto di Giorgio Pisanò.

   Nel novembre del 1968 “Candido” iniziò una campagna a favore dei piccoli azionisti della Montedison contro gli interventi degli enti di Stato (ENI). Alla campagna rispose l’ing. Gianvittorio Figari, ex consigliere della Edison, e l’avvocato Augusto Erba, già consigliere provinciale della DC. Nel gennaio del 1969 i suddetti signori con Giorgio Pisanò e Fulvio Bellini costruirono l’Associazione Difesa Azionisti (ADA). Ad essi si aggiunge anche il rag. Danani, consigliere delegato della società “Cofinter”.

   Secondo la fonte, Pisanò sperava di risolvere la sua difficile situazione economica speculando sull’attività dell’ADA offrendo i suoi servizi al presidente della Montedison, ing. Giorgio Valerio. Questo suo tentativo però fallì anche perché il defunto on. Arturo Michelini, su richiesta dell’ing. Valerio, fornì pessime informazioni su Pisanò, definito come un individuo capace di ogni cosa.

   Nell’aprile del 1969 le due società del Pisano, FPE (Fratelli Pisanò Edizioni) e “Val Padana” si trovavano in gravi crisi economiche, quando vi fu l’assemblea della Montedison alla quale l’ADA si presentò con 23 milioni di azioni. Si sviluppò in seno all’assemblea una accesa battaglia che si concluse con un grave scacco da parte dell’ENI, obbligata a ritirare l’articolo 12 (espediente per dare il controllo di fatto della società agli enti di Stato), e con un successo dell’ADA.

   Nonostante questa vittoria, Giorgio Pisanò rimaneva in una grave situazione economica. Il “Candido” intanto continuò la campagna scandalistica contro Eugenio Cefis e gli altri esponenti dell’ENI.

   Nel giugno 1969, vi fu l’intervento del rag. Francesco Guerrera, consigliere delegato della Monteshell (società del gruppo Montedison), che a nome del dott. Giorgio Macerata, vicepresidente della Montedison, proponeva a Pisanò un incontro con Franco Briatico, con la finalità di giungere ad un accordo in base al quale il Candido e l’ADA, pur continuando apparentemente la campagna contro gli enti di Stato (ENI e IRI), in effetti si impegnavano a coordinare la loro azione a favore della politica condotta dall’ENI.

   Franco Briatico, presidente dell’Agenzia giornalistica “Italia” e capo dell’ufficio relazioni pubbliche dell’ENI, sarebbe un uomo di fiducia di Eugenio Cefis e ufficiale pagatore dell’ENI.

   In cambio della collaborazione l’ENI, sempre a mezzo di Briatico, si impegnò a versare al Pisanò 125 milioni, a rate, entro l’aprile del 1970. Successivamente, nel novembre 1969, in seguito a un intervento del dott. Macerata, la cifra venne aumentata di altri 50 milioni.

   L’agire disonesto di Giorgio Pisanò non sfuggì all’ing. Figari che chiese spiegazioni su tutti i contatti che gli ad personam aveva avuto con i rappresentati dell’ENI. Ciò provocò lo scontro di due opposte politiche che si concluse con la scissione dell’ADA, in base alla quale furono estromessi Giorgio Pisanò e l’avvocato Erba che aveva solidarizzato con lo stesso. Questi ultimi costituirono l’UNAM (Unione Nazionale Azionisti Montedison).

   Nell’aprile del 1970, ci fu l’assemblea annuale della Montedison alla quale Giorgio Pisanò si presentò come vicepresidente dell’UNAM con 52 milioni di azioni, delle quali però 30 milioni sarebbero state passate sottomano da Franco Briatico. Nell’assemblea, Giorgio Pisanò lasciò credere di essere un elettore del nuovo presidente Merzagora, per cui riuscì a determinare la nomina di due rappresentanti dei piccoli azionisti quali consiglieri di amministrazione nella persona dell’avv. Erba e del dott. Nadia.

   Tale successo fece acquisire a Pisanò molta sicurezza, il quale pensava adesso di poter discutere alla pari con tutti i dirigenti della Montedison. Questo stato di fatto determinò uno stato di tensione con Franco Briatico che continuava, per conto di Eugenio Cefis, a mantenere i contatti con il direttore del “Candido”.

   Nel frattempo la situazione finanziaria del giornale di Pisanò si aggravò ulteriormente, e il giornalista avrebbe richiesto l’aiuto del Senatore Nencioni affinché questi intercedesse presso Eugenio Cefis a suo favore. A seguito della sua richiesta, Nencioni invitò a Roma il Pisanò. Il senatore, prospettò al giornalista la possibilità di ricevere ulteriori aiuti economici – senza tuttavia specificarne l’origine – se il “Candido” avesse iniziato una campagna diffamatoria contro il segretario del Partito Socialista, ossia l’onorevole Mancini. Pisanò, in seguito, iniziò sul suo giornale la campagna stampa contro Giacomo Mancini, che riguardava il cosiddetto scandalo ANAS.[15] Secondo la fonte, la campagna stampa di Pisanò contro Mancini, venne finanziata dal presidente dell’ENI Eugenio Cefis, il quale, essendo venuto a conoscenza dei passi svolti dal Partito Socialista per impedire la sua riconferma alla presidenza dell’ENI, era interessato a gettare nella pubblica opinione motivi di discredito a carico della massima autorità del PSI.[16]

   Effettivamente, agli inizi degli anni Settanta, allorquando era in scadenza il vertice dell’ENI, il PSI aveva la forte ambizione di inserire un suo uomo di partito all’interno del dell’azienda petrolifera di Stato, che, dalla sua fondazione, è stata presieduta da uomini legati alla Democrazia Cristiana (DC). L’obiettivo del PSI, era quello di assicurare la sua presenza e la sua responsabilità, attraverso personalità legate al partito, all’interno di importanti settori dell’industria di Stato.[17] L’ENI, rappresentava una importante risorsa per i partiti politici, utilizzata come fonte di finanziamento; il PSI ambiva ad entrare in questo ente con l’intento di fare un uso migliore dell’ENI come fonte di finanziamento per il partito. Nel 1971, quando Eugenio Cefis lasciò la presidenza dell’ENI, gli succedette Raffaele Girotti, anche lui legato politicamente alla DC.[18] Il PSI ottenne la vicepresidenza, inserendo il Prof. Francesco Forte.[19]

Conclusioni

   È interessante delineare il contesto economico-politico nel quale sorsero le inchieste giornalistiche sul “caso Mattei” e approfondire i profili biografici degli autori. Sono due i nomi che stanno dietro le inchieste sulla morte del presidente dell’ENI: Giorgio Pisanò e Fulvio Bellini. Come si è visto, i due avevano un ambiguo rapporto con i diversi esponenti del mondo politico ed economico di allora, in particolare il presidente dell’ENI Eugenio Cefis. Costui, nelle inchieste apparse a più riprese sul “Candido”, viene indicato come uno dei probabili mandanti del presunto complotto nel quale cadde vittima Enrico Mattei. Come si è visto, Pisanò e Bellini erano legati per interessi economici agli ambienti del colosso chimico privato italiano, ossia la Montedison. I due (e con loro Alessandro Previdi co autore insieme a Bellini del libro L’assassinio di Enrico Mattei) guidavano i comitati dei piccoli e medi azionisti Montedison, il cui obiettivo era quello di impedire l’ingresso dell’ENI di Cefis e dell’IRI nell’azienda chimica privata. La congiura contro Enrico Mattei e un presunto coinvolgimento del presidente Cefis, sembrano essere strumenti di diffamazione nei confronti del manager pubblico che ambiva a conquistare la presidenza della Montedison. Dunque, è assai probabile che le inchieste servivano ad indirizzare l’opinione pubblica in una precisa direzione. E, inoltre, la pubblicazione del noto libro di Bellini e Previdi, risale proprio al 1970. Questo libro, che poi verrà utilizzato da Francesco Rosi per scrivere la sceneggiatura del suo film inchiesta “Il caso Mattei” (1972), venne finanziato dall’ingegner Cavalli, collaboratore dell’ingegner Valerio, amministratore delegato e presidente della Montedison, all’epoca in contrasto con Cefis e l’ENI per la scalata del gruppo pubblico a quello privato.

   Da questo quadro, emerge che Giorgio Pisanò e Fulvio Bellini, erano personalità controverse del mondo giornalistico dell’epoca: come si è visto, i due sembrano usare il giornalismo di inchiesta come strumento ricattatorio e diffamatorio per ottenere un tornaconto economico ora da questa parte ora dall’altra. Dunque, sembra venire meno quell’immagine di giornalista coraggioso che rivela all’opinione pubblica verità scomode (così come sostiene Sabrina Pisu)[20] occultate dal governo e dalla magistratura.

   Le inchieste di Pisanò – e poi di Bellini – sembrano avere un certa influenza nell’inchiesta del Dr. Vincenzo Calia, il quale pare aver dimostrato la tesi dell’attentato.[21] Il PM, sembra effettivamente ripercorrere le strade e le stesse ipotesi apparse sugli articoli di “Candido”, ossia: l’aereo sabotato all’aeroporto di Catania prima della sua partenza; la bomba collegata al sistema di fuoriuscita del carrello dell’aereo, cosicché l’attentato avvenisse in fase atterraggio tale da farlo sembrare un banale disastro aereo; tra i mandanti più probabili, emerge la figura di Eugenio Cefis.[22] Il PM, dunque, nelle sue indagini sembra aver ripercorso delle strade già indicate da una certa stampa dell’epoca.[23]


[1] FULVIO BELLINI, Il Secolo XX, Enrico Mattei è stato assassinato, 19 marzo 1963; Enrico Mattei è stato assassinato. Attorno a questa fossa la congiura della menzogna, 26 marzo 1963; Enrico Mattei è stato assassinato. La telefonata della morte, 2 aprile 1963.

[2] Cfr. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia, Procedimento penale n. 2471/62 R.G. Procura di Pavia; Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia, Requisitoria del P.M. in allegato al fascicolo nr. 2471/62, pp. 284-300; Cfr. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia, Sentenza del Giudice Istruttore Antonino Borghese in allegato al fascicolo nr. 2471/62, pp. 310-321.

[3] Archivio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia, procedimento penale 181/94, busta contenente nr. 78 fogli dattiloscritti riguardanti vicende relative al caso Mattei. Queste notizie biografiche – finora inedite – su Fulvio Bellini, provengono da un fascicolo che era a disposizione del PM Vincenzo Calia. I documenti vennero recuperati presso la famiglia del Com.te Irnerio Bertuzzi: tale documentazione – come viene specificato sul fascicolo – è di provenienza ignota. Infatti, le informazioni su Fulvio Bellini sono scritte da un autore anonimo che riferisce, in nota, di riportare una fonte orale (anch’essa anonima) raccolta a Milano nel 1970.

[4] FRANCESCO FUSCO, NINO MARINO, Nuovo Mondo d’Oggi, Enrico Mattei è stato ucciso. Ecco la storia dell’attentato che costò la vita al presidente dell’ENI: non fu una disgrazia, 26 giugno 1968; FRANCESCO FUSCO, Nuovo Mondo d’Oggi, La vedova di Mattei accusa: mio marito fu assassinato, 3 luglio 1968; FRANCESCO FUSCO, Nuovo Mondo d’Oggi, Chi ha paura del “caso Mattei”, 10 luglio 1968.

[5] Cfr. Tribunale di Palermo, Sentenza della Corte d’Assise, Procedimento De Mauro, pp. 1264-1265.

[6] Cfr, ALVES MARCHI, ROBERTO MARCHIONATTI, Montedison 1966-1989. L’evoluzione di una grande impresa al confine tra pubblico e privato, Milano, Franco Angeli, 1992, pp. 25-30.

[7] Cfr. ivi, p. 31.

[8] Cfr. ivi, pp. 31-33.

[9] Cfr. ivi, pp. 38-41.

[10] Cfr. ivi, pp. 41-44.

[11] FULVIO BELLINI, ALESSANDRO PREVIDI, L’assassinio di Enrico Mattei, Milano, Edizioni Flan, 1970.

[12] Procura della Repubblica presso il tribunale di Pavia, op. cit., p. 1 nota n. 4.  

[13] Mauro De Mauro, giornalista del quotidiano l’Ora, venne rapito da Cosa Nostra la sera del 16 settembre 1970 e da allora il suo corpo non fu mai ritrovato. Le indagini, già all’epoca dei fatti, presero strade diverse: i Carabinieri, sotto la guida di Carlo Alberto dalla Chiesa, ritenevano che le ragioni del rapimento di De Mauro risiedessero nelle scoperte che il giornalista avrebbe fatto sui traffici di stupefacenti gestiti dalla mafia; la Polizia, invece, guidata da Boris Giuliano, era convinta che De Mauro fosse stato rapito perché, probabilmente, aveva scoperto qualcosa di importante sulla morte di Enrico Mattei. Il giornalista, infatti, nei mesi precedenti al suo rapimento aveva ricevuto l’incarico dal regista Francesco Rosi, che a suo volta stava lavorando al suo film su Mattei che sarebbe uscito due anni dopo, di ricostruire le due ultime giornate che il presidente dell’ENI aveva trascorso in Sicilia. De Mauro si sarebbe spinto molto oltre il compito che il regista gli aveva affidato e avrebbe scoperto qualcosa di compromettente sulla morte di Mattei, e tale scoperta aveva spinto Cosa Nostra, che in questo caso agiva per conto di qualcuno, a rapire il giornalista per metterlo a tacere. Un’altra tesi nel “caso De Mauro”, emersa in anni più recenti grazie a delle dichiarazioni fatte da alcuni pentiti di mafia, tra cui Francesco di Carlo e Gaspare Mutolo, è quella del golpe Borghese. Secondo questa tesi, De Mauro sarebbe stato rapito dalla mafia a causa di quello che avrebbe scoperto sul golpe Borghese, ossia sul tentato colpo di stato organizzato dal principe Junio Valerio Borghese con la collusione di alcuni reparti dell’esercito italiano. L’obiettivo era quello di prendere il controllo dell’Italia rovesciando il governo. Il tentato golpe venne messo in atto tra la notte del 7 e dell’8 dicembre 1970, ma, per ragioni che non sono mai state chiarite, Borghese diede all’improvviso l’ordine di annullare tutto. Nell’operazione avrebbe avuto un ruolo di supporto anche la mafia, a cui Borghese aveva promesso in cambio dell’aiuto nella realizzazione del colpo di stato, l’annullamento degli ergastoli e dei processi a carico di diversi componenti di Cosa Nostra. De Mauro, stando a quanto dichiarato da Francesco di Carlo e da Gaspare Mutolo, avrebbe scoperto tre mesi prima il progettato colpo di stato e la collaborazione della mafia in tale progetto sovversivo. Per evitare che egli rivelasse tutto quello che aveva scoperto e impedirgli di conseguenza di compromettere l’operazione, si decise di metterlo a tacere (cfr. Tribunale di Palermo, Sentenza della Corte d’Assise, Procedimento De Mauro, op. cit.).

[14] Candido, Lo stato si è impossessato anche della Montedison. Italiani, sveglia: ci stanno fregano, 21 ottobre 1968; Candido, Italiani, sveglia: ci vogliono fregare. Piano piano, con la vaselina ci stanno portando oltre cortina, 31 ottobre 1968; Candido, Italiani, sveglia: ci vogliono fregare. Ed ora al contrattacco si può ancora vincere, 4 novembre 1968; Candido, Alt agli enti di Stato. Già raccolti 15 milioni di azioni, 5 novembre 1968; Candido, Italiani, sveglia: ci vogliono fregare. Montedison verso il sindacato di voto, 14 dicembre 1968; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Costituito il comitato promotore, 21 novembre 1968; Candido, Montedison. Non lasciamoci intimidire, 28 novembre 1968; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Aumenta il ritmo delle adesioni, 12 dicembre 1968; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Attenzione ai sabotatori, 9 gennaio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Diffidare dalle imitazioni, 16 gennaio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Se vince l’IRI è finita, 30 gennaio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Gli squali dell’ENI, 6 febbraio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. I nostri obbiettivi, 13 febbraio 1969; Candido, Alt agli enti di Stato. Lettera aperta all’on. Rumor, 20 febbraio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Azionisti non arrendetevi, 27 febbraio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. L’enigma Valerio, 6 marzo 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. I risultati del “referendum segreto”, 13 marzo 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Contare solo su noi stessi, 20 marzo 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Ingegner Valerio, lei deve andarsene, 27 marzo 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Il Valerio dei miracoli e lo specchietto per le allodole, 10 aprile 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. L’assemblea è vicina. Ecco i provvedimenti da prendere, 17 aprile 1969; Candido, Montedison alt agli enti di Stato. Sarà un assemblea infuocata: gli statizzatori non debbono passare, 21 aprile 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Non deve passare la modifica all’art. 12, 1 maggio 1969; Candido, Montedison: abbiamo vinto, 8 maggio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Riprende la lotta. Il boicottaggio delle banche, 13 maggio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Le deliberazioni dell’ADA, 22 maggio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Stringersi attorno all’azienda, 29 maggio 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Si allarga il campo di azione, 5 giugno 1969; Candido, Montedison: seconda fase. Mobilitazione generale, 26 giugno 1969; Candido, Montedison: seconda fase. Primi risultati positivi, 10 luglio 1969; Candido, Montedison: seconda fase. Agli americani si, a noi no, 25 settembre 1969; Candido, Montedison: seconda fase. Che cosa sta accadendo alla Montecatini-Edison?, 18 novembre 1969; Candido, Montedison: seconda fase. La tregua è finita, 20 novembre 1969; Candido, Montedison: seconda fase. Le fette del salame, 11 dicembre 1969; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. Non siamo dei fessi, signori dell’ENI, e i vostri piani li conosciamo; Candido, Montedison: alt agli enti di Stato. L’iniziativa dilaga ovunque.

[15] Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta scoppiò lo scandalo ANAS, ossia lo scandalo degli appalti all’interno dell’azienda di Stato costruzione strade. La vicenda ebbe inizio da un ricorso al consiglio di Stato dell’ex direttore Ing. Rinaldi, destituito dal ministro socialista Mancini, che aveva sostenuto che gli appalti all’interno dell’ANAS venivano aggiudicati alle ditte dietro pagamento di una tangente che poteva oscillare tra il 5% e l’8%, ma che solo in parte finiva nelle casse del partito. Il Pubblico Ministero aveva fatto mettere sotto controllo i telefoni del ministro, e le intercettazioni rivelarono che i funzionari comunicavano agli ispettori le buste e quindi il nome delle aziende da scegliere, ossia quelle che avevano pagato. Si tratta di diversi miliardi di lire e ne consegue una campagna scandalistica contro Giacomo Mancini, ministro dei lavori pubblici e segretario del PSI. La procura di Roma chiese di processare il ministro dei lavori pubblici per interessi privati. Si formò, dunque, una commissione inquirente e venne aperto un procedimento penale contro di lui, ma la commissione archivierà il caso. Ad essere incriminati, saranno solo i funzionari accusati di disonestà (Fondazione Giacomo Mancini, Giacomo Mancini, 3.6.9, sottoserie 9 scandalo ANAS [15 ottobre 1945 – 30 maggio 1985]).

[16] Fondazione Giacomo Mancini, Giacomo Mancini, 3.6.9.2, Relazione sul passato da iscritti alla Repubblica di Salò di Giorgio Pisanò, direttore del periodico Candido e del padre Luigi; lettere, dattiloscritti e articoli di stampa sulla vicenda ANAS, pp. 27-33.

[17] Istituto di Studi Storici Filippo Turati, PSI, Sezione Problemi dello Stato, b. 10, fasc. 17. 

[18] Istituto di Studi Storici Filippo Turati, PSI, Sezione Problemi dello Stato, b. 10, fasc. 27, pp. 1-14.

[19] Per una biografia di Francesco Forte Cfr. FRANCESCO FORTE, A onor del vero. Un’autobiografia politica e civile, Catanzaro, Rubbettino, 2017.

[20]  Cfr. VINCENZO CALIA, SABRINA PISU, op. cit., pp. 207-361.

[21] Secondo il PM Calia, l’esplosione di una bomba sarebbe dimostrata da perizie frattografiche e metallografiche eseguite su uno strumento di bordo dell’aereo sul quale viaggiava Enrico Mattei (cfr. DONATO FIRRAO, The way the mistery of the Mattei’s case was solved, Politecnico di Torino, Dipartimento di scienza dei materiali e Ingegneria Chimica, 2010). Tali analisi hanno rilevato segni di esplosione. Tracce di esplosivo, invece, non sono state trovate, in quanto le analisi chimiche eseguite dal capitano Delogu sullo stesso reperto, hanno dato esito negativo (cfr. Procura della Repubblica presso il tribunale di Pavia, Vincenzo Calia, Richieste del Pubblico Ministero, op. cit., p. 112). Il Prof. Ing. Mario Pelino sostiene che: «Nelle indagini su attentati terroristici ad aerei di linea ci si basa, fondamentalmente, su tre evidenze: la scatola nera, le evidenze metallografiche sulla dinamica di deformazione plastica delle parti metalliche nella zona da cui si ritiene sia partita la deflagrazione la analisi chimiche sui reperti per identificare il tipo di esplosivo utilizzato. Questo anche al fine di capire come sia stato introdotto nell’aeromobile e perché non rivelato prima dell’imbarco. Oggi le tecniche di analisi chimica sono sofisticate al punto da rilevare composti anche in percentuale di ppb (parti per miliardo). Quanto all’aereo di Mattei, se si fossero trovate tracce di composti imputabili ad esplosivi, non vi sarebbero stati dubbi sulla dinamica dell’incidente. Così i dubbi permangono. Inoltre, se non erro, l’incidente avvenne in fase di atterraggio. Negli attentati si fa avvenire la deflagrazione in quota. Trattandosi però di un volo privato senza un orario prefissato di decollo, questa considerazione è opinabile. Infine, non mi pare si siano trovati reperti riferibili al meccanismo di scoppio della carica esplosiva.» (Intervista dell’autore in data 22/05/2023). Con ciò non si vuole (e non si può) mettere in dubbio le prove ricavate dalla perizia del Prof. Donato Firrao: l’opinione del Prof. Ing. Pelino è di natura puramente teorica, e non è il risultato di una prova di laboratorio. Dunque, dal punto di vista scientifico, non ha nessun valore.  

[22] Candido, Mauro de Mauro: gli assassini di Enrico Mattei colpiscono ancora, 5 novembre 1970; Candido, Gli assassini di Enrico Mattei colpiscono ancora. Ecco perché venne assassinato il presidente dell’ENI, 12 novembre 1970; Candido, Mauro de Mauro: gli assassini di Enrico Mattei colpiscono ancora. Di chi ha paura Graziano Verzotto?, 19 novembre 1970; Candido, Caso de Mauro-Mattei, Vito Guarrasi. Il signor X, 26 novembre 1970; Candido, L’aereo di Enrico Mattei si disintegrò in volo in seguito ad un atto di sabotaggio. Ecco la prova che non ci fu un esplosione al suolo, 26 novembre 1970; Candido, Mauro de Mauro: gli assassini di Enrico Mattei colpiscono ancora. La chiave del mistero, 3 dicembre 1970; Candido, La commissione antimafia ha concluso i suoi lavori: ecco rivelata le scottanti verità che il regime ha voluto tenere nascosto, 24 febbraio 1976.

[23] Cfr. VINCENZO CALIA, SABRINA PISU, op. cit., pp. 17-202.

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