Un capolavoro cinematografico che (oggi) non vale nulla

   Il Caso Mattei di Francesco Rosi è un bellissimo film ma solo dal punto di vista cinematografico. Dal punto di vista storiografico, invece, non vale niente e non lo si può considerare un valido documento storico. Rosi ricavò la sceneggiatura del film da un libro scritto da Fulvio Bellini e Alessandro Previdi e pubblicato due anni prima dell’uscita del film (cfr. FULVIO BELLINI, ALESSANDRO PREVIDI, L’assassinio di Enrico Mattei, Milano, Edizioni Flan, 1970). Questo libro è stato il “capostipite” della cosiddetta “letteratura matteiana”, ossia tutte le successive biografie romanzate scritte da giornalisti, ex collaboratori del presidente e da conoscenti. Tali pubblicazioni sono caratterizzate da toni eccessivamente celebrativi e agiografici. Rosi, come tanti altri dopo di lui, ha ricostruito la vicenda imprenditoriale di Enrico Mattei in maniera dilettantistica e approssimativa, basandosi su fonti inesistenti o di dubbia attendibilità. Il film, che ebbe all’epoca un notevole successo presso l’opinione pubblica (e lo ha tutt’ora), con il passare del tempo, insieme alla pubblicistica di tipo celebrativo, ha contribuito in larga misura a fissare un’immagine mitizzata di Mattei e una versione dei fatti romanzata e semplificata che, nel corso degli anni, è stata sempre ripresa e riproposta: Mattei sfida le “sette sorelle”; inventa e propone ai Paesi produttori rivoluzionarie formule contrattuali per la spartizione degli utili (la famosa formula 75/25); la politica estera dell’ENI compromette gli interessi delle multinazionali, tanto da spingere queste a commissionare la morte di Mattei. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta e dagli inizi degli anni Duemila, sono stati pubblicati studi scritti da storici di professione che, per la ricostruzione dei fatti storici, si sono avvalsi delle fonti primarie, cioè quelle di archivio, principalmente quelle conservate nell’Archivio Storico dell’ENI; un archivio che per moltissimi anni è stato inaccessibile, e che solo in anni più recenti è stato messo a disposizione dei ricercatori. Tali studi confermano l’importanza di Enrico Mattei e dell’ENI nella ripresa economica dell’Italia dopo la Seconda guerra mondiale, nell’aver dato slancio alla politica estera del Paese, ma ridimensionano di molto il “mito Mattei”. Questi studi hanno il merito di aver demolito alcune convinzioni storiografiche che sembrano, però, ancora sopravvivere in una pubblicistica di tipo encomiastico che si lascia ancora influenzare dalla narrazione del film di Rosi. Ad esempio: la paternità dell’innovativa formula 75/25 non appartiene all’ENI di Mattei ma alle cancellerie dei Paesi produttori, in particolare quelli di lingua araba (cfr. a questo proposito gli studi di Ilaria Tremolada, La via italiana al petrolio: l’ENI di Enrico Mattei in Iran (1951-1958), Milano, L’Ornitorinco, 2011; Daniele Pozzi, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe: tecnologia, conoscenza e organizzazione nell’AGIP e nell’ENI di Enrico Mattei, Venezia, Marsilio, 2009;   Massimo Bucarelli, All’origine della politica energetica dell’ENI in Iran: Enrico Mattei e i negoziati per gli accordi petroliferi del 1957); la politica estera dell’ENI dava fastidio alle “sette sorelle”, ma solo da un punto di vista politico: quando nel 1957 l’ENI firmò l’accordo con il governo dell’Iran, le amministrazioni statunitensi e britanniche temettero che l’inaugurazione della formula 75/25 – formula contrattuale di rottura rispetto al “fifty-fifty” (50 e 50) – potesse creare un pericoloso precedente nel mercato petrolifero mediorientale, e che, di conseguenza, i governi degli  altri Paesi dell’area potessero sentirsi incoraggiati a chiedere alle multinazionali di rivedere i loro accordi basati sul principio del 50 e 50. Dal punto di vista commerciale l’ENI, però, non aveva la forza di compromettere gli interessi delle “sette sorelle”. Infatti l’ente italiano in quel periodo, se paragonato alle multinazionali, era una realtà industriale troppo piccola, e le sue attività all’estero erano di piccola portata (cfr. gli studi di Leonardo Maugeri, in particolare L’arma del petrolio: questione petrolifera globale, guerra fredda e politica italiana nella vicenda di Enrico Mattei, Firenze, Loggia De’ Lanzi, 1994 e L’era del petrolio. Mitologia, storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, Milano, Feltrinelli, 2006).

   Francesco Rosi, inoltre, nel suo film mi sembra che dia un’interpretazione fin troppo ingenua del terzomondismo di Mattei: sembra che voglia farlo apparire come una sorta di imprenditore magnanimo (cfr. a questo proposito la scena dell’intervista mentre il presidente si trova ad un lago a pescare). Il terzomondismo dell’ENI, certamente sincero, era, però, anche un’accorta strategia di diffusione dell’immagine aziendale. Il terzomondismo e l’anticolonialismo del presidente Mattei era funzionale a dare all’azienda italiana l’immagine di amico e alleato dei Paesi produttori di recente indipendenza. In queste realtà, dove le compagnie anglo-americane erano percepite come espressione del neocolonialismo economico, l’ENI si presentava ai governi con una propaganda anticolonialista e con la promessa di aiutare quei Paesi che hanno le ricchezze naturali ma non hanno i mezzi tecnologici per sfruttarla. Insomma, Mattei aveva compreso come presso quei popoli che da poco si erano liberati dal dominio coloniale bisognava presentarsi in modo diverso: non come dei potenti che volevano solo sfruttare le ricchezze del Paese, ma proponendosi come degli ospiti rispettosi che, pur pretendendo di sfruttare le loro riserve petrolifere, ci si rendeva disponibili ad aiutare il Paese produttore a sviluppare un’industria petrolifera locale. Dunque, le posizioni terzomondiste e anticolonialiste assunte dall’ENI, servivano a conquistare la fiducia dei governi dei Paesi produttori. A proposito di quanto detto, è illuminante ciò che Alberto Tonini scrive: «Il presunto terzomondismo dell’Eni e del suo fondatore, poi, si spiega non solo e non tanto con il desiderio di sostenere i popoli dei paesi di nuova indipendenza, ma con la convinzione che i vincoli di riconoscenza di questi popoli avrebbero permesso il raggiungimento di un accordo per lo sfruttamento delle risorse petrolifere nascoste nel sottosuolo di quei paesi. Non era semplicemente l’amore di libertà a guidare le scelte di Mattei, ma piuttosto l’aver compreso prima di altri che la logica dei rapporti tra Nord e Sud del mondo stava rapidamente mutando» (ALBERTO TONINI, Il sogno proibito: Mattei, il petrolio arabo e le sette sorelle, Firenze, Polistampa, 2003, p. 154).

   Nonostante siano stati pubblicati studi autorevoli su Enrico Mattei che hanno chiarito meglio la sua vicenda imprenditoriale, il film di Rosi sembra essere per molti ancora l’ultima frontiera. Infatti, la già vasta bibliografia sull’argomento, continua ad arricchirsi di libri che incasellano la vicenda del primo presidente dell’ENI negli schemi definiti da Bellini, Previdi e Rosi. La vulgata che è stata fissata dalle opere dei tre suddetti e, poi, ripresa da tutte le successive pubblicazioni, è talmente resistente tanto da convincere anche un bravo giornalista e divulgatore come Paolo Mieli. Quest’ultimo, di recente, ha curato un episodio di “Passato e Presente” dedicato a Enrico Mattei (Passato e Presente. Enrico Mattei, la sfida del petrolio, 2019, a cura di Paolo Mieli e Mauro Canali): il documentario ripercorre la vicenda dell’imprenditore seguendo la classica via tracciata nel tempo dalle biografie più note (il prof. Canali cita la biografia scritta da Italo Pietra, Mattei. La pecora nera, Milano, Sugarco, 1987) e, durante l’episodio, viene utilizzato come strumento narrativo proprio il “Caso Mattei” di Rosi. Mieli, il prof. Canali e i tre giovani ricercatori (Alessio Folchi, Guglielmo Motta e Maria Chiara Conti) hanno riproposto la vulgata “classica” sull’argomento non tenendo in considerazione ciò che ha stabilito una storiografia più recente e, soprattutto, più attendibile: infatti si è di nuovo attribuita a Mattei la paternità dell’innovativa formula 75/25; si è attribuito alla sola spregiudicatezza del presidente dell’ENI la firma del contratto ENI-NIOC. Questo accordo, che fu uno dei maggiori successi politici di Mattei, non fu una iniziativa dell’azienda italiana e del suo presidente. Infatti, come dimostra lo studio della prof.ssa Ilaria Tremolada, la National Iranian Oil Company, l’ente di Stato iraniano, l’otto luglio del 1956 propose all’ENI di concludere un’intesa in base alle clausole della formula 75/25 (75% allo Stato iraniano più la creazione di una società mista partecipata per un 50% da ENI e per l’altro 50% da NIOC). Questo aspetto è molto importante, in quanto si è sempre sostenuto (e talvolta si continua a sostenere) che l’introduzione della nuova formula contrattuale la si deve al genio e alla spregiudicatezza dell’imprenditore italiano. In realtà, furono i Paesi produttori del Medio Oriente (Egitto e Iran) a muoversi in quel senso, e cioè a ideare nuovi sistemi di ripartizione degli utili che permettessero ai governi di questi Paesi sia di ricevere una quota più alta e sia di avere una voce in capitolo nella produzione e nella gestione del petrolio. Da questo punto di vista, i meriti di Enrico Mattei non vanno ricercati nell’ideazione di rivoluzionarie formule contrattuali, ma nell’aver accettato per primo le richieste dei Paesi produttori e di essere stato il primo a mostrarsi sensibile alle esigenze di emancipazione e rivalsa delle Nazioni mediorientali, che vedevano nello sviluppo dell’industria petrolifera un mezzo per realizzare l’indipendenza economica e politica (è lo spirito nazionalistico che lo storico dell’economia Giulio Sapelli ha definito come “Oil Nationalism”, cioè l’affermazione dell’indipendenza nazionale attraverso la gestione e lo sviluppo delle proprie fonti energetiche, cfr. GIULIO SAPELLI et alii, Nascita e trasformazione d’impresa. Storia dell’AGIP petroli, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 17-31).

Qualche considerazione sui film e sull’uso che se ne fa

   I film storici, sia che trattino la biografia di un personaggio o un evento in particolare, non sempre risultano essere attendibili. Questo perché la sceneggiatura viene ricavata da pubblicazioni di dubbia validità scientifica e i fatti, spesso, vengono storpiati e travisati per soddisfare alcune esigenze cinematografiche, come, per esempio, rendere di facile comprensione la storia che viene narrata, e rendere più accattivante il soggetto del film, in modo tale da catturare al meglio l’attenzione dello spettatore. Nel caso del film di Francesco Rosi, la chiave di lettura privilegiata dal regista è quella dello scontro e della coraggiosa sfida di Mattei agli intoccabili interessi delle multinazionali anglo-americane del petrolio. Tale chiave narrativa risponde a particolari esigenze, quali: rendere la storia di facile comprensione per un pubblico che sia il più ampio possibile, impostando la narrazione della storia sui toni del tipo “buono/eroe vs cattivo/antagonista”, in maniera tale da avere al centro un eroe (Mattei) che si batte contro qualcuno o qualcosa che rappresenta, in qualche modo, il cattivo (le sette compagnie anglo-americane); tale chiave di lettura è stata funzionale a costruire l’immagine mitica di Mattei, cioè dell’eroe nazionale che si batte per il suo popolo con coraggio.

   Simili opere cinematografiche andrebbero utilizzate con molta cautela nell’ambito della didattica, in quanto non fanno Storia intesa come disciplina critica, ma solo intrattenimento finalizzato a raccontare una storia resa più avvincente per un pubblico fatto di “non addetti ai lavori”. Detto ciò, non credo sia accettabile che un divulgatore come Paolo Mieli e un accademico come Mauro Canali utilizzino la narrazione uscita fuori da un film per curare un documentario.

   Il “Caso Mattei” di Rosi è uno dei tanti esempi di falsificazione storiografica e creazione del mito. Lo stesso giudizio lo si può dare ad un’altra opera cinematografica che viene ampiamente usata quando si parla di John Fitzgerald Kennedy e della sua tragica fine, ossia il “JFK” di Oliver Stone. Anche in questo caso si assiste ad una ricostruzione storica basata su bugie e mezze verità rese convincenti dalla bravura del regista americano. Questo film ha rafforzato molto il falso storico della congiura che si sarebbe consumata a Dallas il 22 novembre 1963.    

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