I primi passi nella natia Acqualagna e gli anni di Matelica

   Acqualagna è un piccolo comune che si trova nelle Marche, in provincia di Pesaro Urbino. L’origine del toponimo è incerto: una ipotesi vorrebbe che il nome di Acqualagna derivi da una battaglia che venne combattuta nei dintorni fra i Goti di Totila e i Bizantini di Narsete, per cui Acqualagna deriverebbe da Acqua Lanea che significa acqua macello; una seconda ipotesi vuole che il nome della piccola città marchigiana derivasse da Acqua-lama, che dovrebbe significare acqua pantano o acqua melmosa, dato che un tempo, nell’area di confluenza del Burano nel Candigliano, erano presenti degli acquitrini. Acqualagna salì alle cronache il 9 ottobre 1901, quando venne arrestato il brigante Musolino[1] da due carabinieri che erano comandati dal brigadiere Antonio Mattei. La notizia venne riportata anche sui giornali importanti, come ad esempio “La Domenica del Corriere”, dove la notizia veniva accompagnata da una illustrazione. Certo non mancarono gli articoli dove comparivano le foto dei due carabinieri che si erano resi protagonisti dell’importante arresto. In uno di questi articoli comparve anche la foto del brigadiere Antonio Mattei, anche se non contribuì direttamente all’arresto del famigerato brigante; la foto lo ritrae con i caratteristici baffi a manubrio che contribuivano a dargli un’espressione seria e severa. Circa cinque anni dopo quell’avvenimento che diede fama ad Acqualagna, precisamente il 29 aprile 1906, da quel brigadiere Antonio Mattei e da Angela Galvani, nacque il primogenito di quella che sarà la famiglia Mattei; Enrico. Nessuno poteva immaginare che quel bambino un giorno sarebbe diventato uno degli uomini più potenti e più importanti d’Italia. E fu così che iniziò la vita di Enrico Mattei.

   Ad Acqualagna Mattei trascorse gli anni della fanciullezza e vi frequentò i primi tre anni delle scuole elementari; studi che poi proseguirono all’istituto elementare di Vasto, quando nel 1913 suo padre venne trasferito alla caserma di Casalbordino, paesino della provincia di Chieti. La famiglia Mattei visse qui fino al 1919, quando Antonio Mattei decise di andare in pensione. Due furono le ragioni che lo spinsero a prendere questa decisione: dare più stabilità alla famiglia (che intanto si era accresciuta con altri quattro figli) evitando i continui trasferimenti che il lavoro del carabiniere comportava; e l’intenzione di trasferirsi in una città che potesse offrire ai suoi figli la possibilità di studiare. Infatti a Casalbordino non c’erano né scuole superiori e né l’università, e il capo famiglia voleva che almeno Enrico, il primogenito, conseguisse un titolo di studio. Così Antonio Mattei decise di riportare la famiglia nelle Marche con l’obiettivo di stabilirsi a Camerino, città sede universitaria. Ma Camerino era troppo cara per le modestissime condizioni economiche in cui versava la famiglia Mattei. Vi dovettero rinunciare e scegliere la più abbordabile Matelica. Enrico Mattei, anni dopo, quando già era diventato un uomo importante, in occasione del conferimento della laurea honoris causa all’università di Camerino, ricordò in un discorso quella difficile rinuncia:

   arrivai tanti anni fa, bambino, su un carro, con mio padre sottufficiale dei carabinieri ormai in pensione, con mia madre e con i miei fratellini. Mio padre diceva che è brutto essere poveri perché non si può studiare e senza titolo di studio non si può fare strada. Così ci portò a Camerino, perché in questa città la vita era a buon mercato e c’erano scuole medie e università. Girammo col carro in lungo e in largo a cercar casa, ma anche Camerino era troppo cara per noi. Così ce ne andammo; mio padre scrollava il capo, lasciando alle spalle quella città sognata e la speranza di farci studiare. Andammo in un paese non lontano dove ci trovammo bene.[2]

   Tuttavia Matelica, che si trova a metà strada tra Fabriano e Camerino, è un centro molto attivo, dove prosperano diverse aziende, sia pure piccole o piccolissime, che lavorano il ferro, la pietra e la pelle. Sarà questa città ad offrire al giovane Enrico Mattei le prime esperienze lavorative che lo formeranno.

   Arrivata in città, la famiglia si sistemò in una casa di modeste condizioni, su una via centrale che a quei tempi i matelicesi chiamavano la via dei nobili, per via dei bellissimi palazzi signorili. I primi tempi a Matelica furono difficili: il capo famiglia, Antonio, non guadagnava molto con il suo lavoro di guardiacaccia e, pagato l’affitto, dello stipendio rimaneva ben poco. Questo vivere in modeste condizioni economiche, in una città come Matelica dove l’ambiente sociale era caratterizzato da famiglie appartenenti alla medio- alta borghesia, che costringeva il giovane Enrico a guardare dal basso verso l’alto i suoi coetanei matelicesi che, appartenenti a famiglie facoltose, avevano il futuro assicurato, fece nascere nel giovane quel complesso di inferiorità, che però, allo stesso tempo, originò in lui quella voglia di riscatto sociale. Questo è un aspetto molto importante della personalità di Mattei che contribuì fortemente a influenzare la sua visione politica. Infatti quella voglia di riscatto sociale, che ebbe per lui in gioventù, la proietterà anche sull’Italia del Secondo dopoguerra. Mattei infatti credeva che l’Italia, uscita povera e distrutta dal Secondo conflitto mondiale, doveva riscattarsi dalla sua condizione di Paese povero e inserirsi fra le grandi potenze economiche soprattutto grazie al lavoro e alle grandi iniziative industriali, e, quando l’Italia si trovò ad essere sulla via del miracolo economico, egli era convinto che l’Italia dovesse presentarsi come quella realtà che doveva essere d’esempio per quei Paesi che dovevano ancora conoscere un proprio sviluppo.[3] Su questo aspetto della personalità di Mattei si è espresso anche Carlo Maria Lomartire, che acutamente ha osservato:

    Ed è probabilmente proprio dalle asprezze della vita in quella strada di signori, dal frustrante confronto quotidiano fra l’esistenza difficile della sua famiglia e quella agiata dell’aristocrazia matelicese, che è germogliato e cresciuto quel complesso di inferiorità sociale ed economica e quello spirito di rivalsa in cui si trovano le radici più profonde della visione politica di Mattei e, insieme, della sua fiera volontà di riscatto personale e della sua tenace ambizione.[4]

   E questo desiderio di rapida ascesa sociale, che in questi anni sogna soprattutto per se stesso, lo farà allontanare dagli studi superiori; il giovane Enrico infatti si dimostrava insofferente nei confronti della scuola sia perché non la riteneva utile per la sua ascesa sociale sia perché era spinto dal desiderio di ottenere al più presto la sua indipendenza. E quella dell’indipendenza è un altro aspetto fondamentale della personalità di Mattei, che influenzerà il suo agire quando sarà il presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI). Come si vedrà più avanti, Mattei ebbe la felice intuizione che l’Italia dovesse gestire in maniera indipendente la propria politica energetica. Per le ragioni sopra dette abbandonò solo dopo un anno di frequenza il Regio Istituto Tecnico “Ottavio Polecchi” dell’Aquila, dove era stato mandato dal padre nella speranza che, almeno il primogenito della famiglia, potesse conseguire il diploma.[5]

   Convinto che il lavoro fosse la strada più rapida per ottenere indipendenza e successo, il giovane Mattei iniziò le sue prime esperienze lavorative a Matelica. Il primo impiego avvenne presso una ditta locale che apparteneva a un certo Cesare Scuriati – impegnata nella produzione e lavorazione di mobili in ferro battuto e ottone, in particolare le testate per i letti – dove il giovane Enrico venne destinato alla mansione di verniciatore. Ben presto abbandonò quel lavoro che cominciava ad annoiarlo a causa della monotonia dovuta ai gesti ripetitivi che caratterizzavano il ruolo del verniciatore. Si racconta che volle abbandonare la bottega di Scuriati anche perché non sopportava più l’odore forte della vernice: «un giorno […] mentre stava dipingendo i petali di una margherita, fu colto da conati, corse al gabinetto e vomitò anche l’anima. […]. Dando la colpa all’odore di vernice, il giovane Enrico lasciò quel suo primo lavoro. Ma, questa volta, si diede subito da fare per trovarne un altro».[6] Infatti non tardò ad arrivare il nuovo lavoro che gli permise di fare il salto di qualità. Nel 1922 prese servizio presso la Conceria Fiore che all’epoca era l’attività industriale più fiorente di Matelica: nell’impresa lavoravano centocinquanta operai, un ingegnere e cinque tecnici. Per il giovane Enrico Mattei, desideroso di far presto carriera, quell’ambiente era sicuramente più stimolante e certamente offriva molte più opportunità della fabbrichetta di mobili in ferro battuto. E infatti qui Enrico, nel giro di pochi anni, fece carriera: entrato a sedici anni come apprendista, a diciassette divenne operaio specializzato; a diciotto diventò tecnico; a diciannove vicedirettore e, appena compiuti vent’anni, raggiunse il vertice diventando direttore. Da quella posizione Mattei, iniziò a migliorare la propria condizione e anche quella della famiglia, tanto da diventare un importante aiuto economico per essa. Questo gli permise anche di riaccreditarsi agli occhi di suo padre, che aveva deluso anni prima, quando aveva lasciato gli studi superiori solo dopo un anno. Ma il lavoro e la carriera alla Conceria Fiore furono importanti soprattutto perché per Mattei segnò il passaggio dallo status di operaio a quello di manager: è sicuramente in veste di direttore di questa azienda che iniziò ad imparare il lavoro dell’imprenditore e ad acquisire tutte quelle qualità che sono necessarie per un capitano d’industria, ovvero l’intraprendenza, l’organizzazione industriale e il carisma del capo. Gli anni trascorsi alla Conceria Fiore sono fondamentali anche per il fatto che è in questo ambiente lavorativo che nacque in lui l’interesse per la chimica, interesse che gli sarà di grande utilità quando, durante il periodo milanese, fondò l’Industria Chimica Lombarda (ICL). L’importanza dell’esperienza nella Conceria Fiore viene confermata anche da Bazzoli e Renzi, che scrivono:

    l’operaio Mattei, che si trova per la prima volta di fronte alla lavorazione delle pelli, resta incuriosito e forse affascinato dalla chimica. E non si limita ad eseguire, ma si informa su come e perché agiscono l’allume di cromo e l’acido tannico, e si fa insegnare, e studia, lui che non ama applicarsi senza uno scopo immediato, fino a diventare un tecnico. L’impiegato Mattei, che pur avendo meno esperienza di altri scopre in se il pallino dell’organizzazione industriale e una emergente capacità, a vent’anni, di guidare e stimolare gli altri.[7]

   Il 1928 fu un anno importante per la vita di Mattei, allorché dovette partire per Milano dato che la crisi economica aveva costretto alla chiusura la Conceria Fiore. Ad Enrico Mattei, giovane e ambizioso manager, non restava che cercare il lavoro fuori da Matelica, ma soprattutto fuori dalle Marche; non gli restava altra scelta che partire per il capoluogo lombardo, uno dei centri più attivi e dinamici del nord Italia di allora, proiettato verso la grande industria. 

Il periodo milanese

   Il periodo milanese fu importante per Mattei: nella grande città del nord Italia ebbe la possibilità di completare la sua formazione come imprenditore; fece importanti conoscenze che lo introdussero nel mondo della politica; conobbe e sposò nel 1936 Margherita Paulas, ballerina austriaca che incontrò nel locale Il Cavallino Bianco.

   Per quanto riguarda la sua attività lavorativa, Mattei, quando giunse a Milano, dovette ricominciare da capo, dalla cosiddetta gavetta; grazie alle ottime referenze che gli vennero fornite dai proprietari della Conceria Fiore, trovò subito lavoro come rappresentante in un settore simile, la Max Mayer, importante ditta tedesca che produceva vernici a smalto e solventi per concerie, per poi passare, solo dopo pochi mesi, alla Lowenthal, anche questa un’azienda tedesca che produceva macchine e servizi per l’industria conciaria. Queste esperienze offrirono a Mattei la possibilità di migliorare le sue già ottime qualità imprenditoriali, ma non solo; il lavoro presso la Lowenthal gli garantivano un guadagno di denaro considerevole tanto che, dopo qualche anno, con i soldi guadagnati, decise di prendere in affitto un capannone e di aprire una propria attività. E fu così che, nel 1931, fondò insieme al fratello Umberto e alla sorella Maria (che intanto lo raggiunsero a Milano) una piccola fabbrica di emulsioni per conceria, chiamata Industria Chimica Lombarda Grassi e Saponi. Questo fu l’inizio di un nuovo successo: l’attività, avviata con soli due operai, nel giro di pochi anni riuscì a dare lavoro a circa venti persone. E dopo che l’azienda fu bene avviata nel mercato italiano, Mattei decise di essere completamente autonomo e per tale ragione si dimise dalla Lowenthal, consegnando una lettera di dimissioni con la quale il giovane imprenditore spiegava di voler lasciare il suo ruolo a causa del fatto che, in quell’ambiente lavorativo, lui non era più necessario in quanto non aveva più nulla da dare all’azienda e che il suo lavoro di venditore dei prodotti poteva essere affidato alle nuove leve.[8] Ma la ragione delle dimissioni era più semplice: Enrico Mattei voleva ormai essere un imprenditore autonomo e realizzare i suoi guadagni non più con uno stipendio ma con degli utili; utili che non tardarono ad arrivare, e, appena arrivò il benessere economico, comprò a Matelica una bella casa nella zona centrale per i suoi genitori e acquistò una trentina di terreni che poi si rivelarono dei buoni affari. Insomma, arrivò il tanto desiderato riscatto sociale ed economico.

   C’è una vicenda, legata al periodo della ICL, che va messa in evidenza, dato che tale vicenda contribuì ulteriormente a formare il Mattei imprenditore. Correva l’anno 1935 e l’Italia fascista stava conquistando l’Abissinia. Nei resoconti dedicati all’impero che l’Italia si andava conquistando in questo luogo, Mattei notò la ingente quantità di pesce che era presente nel Mar Rosso. Gli venne l’idea di procurarsi, tramite una flotta di pescherecci, la materia prima da cui si estraggono i grassi e i saponi di cui la sua fabbrica aveva tanto bisogno, ovvero i pesci di grossa taglia. Enrico avrebbe organizzato l’importazione dall’Italia e suo fratello Umberto si sarebbe occupato di organizzare la flotta di pescherecci in Abissinia; per tale ragione lo spedì ad Adis Abeba. Dunque Mattei presentò al ministero delle Corporazioni «un progetto per la creazione di una flottiglia da pesca e di uno stabilimento per il primo trattamento del pescato, chiedendo una concessione per la pesca industriale in Eritrea»,[9] ma non riuscì ad ottenere dalle autorità fasciste i permessi necessari, e il progetto fallì. Tuttavia questo tentativo mette in luce un aspetto molto importante del Mattei imprenditore: Mattei tentò di far sviluppare la sua fabbrica mediante un processo di internazionalizzazione; cercò di fare della sua azienda un’impresa che si muove al di fuori dei confini nazionali e che cerca in maniera del tutto autonoma le materie prime di cui ha bisogno. Questo tipo di sviluppo dell’impresa, che prende il nome internazionalizzazione, Mattei la applicherà all’ENI; infatti l’ENI, come si vedrà più avanti, non sarà un semplice ente che si limita ad importare il prodotto finito ma si comporterà come una multinazionale che cerca in maniera autonoma anche al di fuori dai confini nazionali la materia prima per trasformarla nel prodotto finito. Anche Bazzoli e Renzi si sono espressi sull’importanza di questa esperienza, e infatti scrivono che

    quel tentativo fallito, il primo passo falso in una carriera imprenditoriale fino a quel momento in ascesa, sta tuttavia a dimostrare che la futura strategia dell’ENI non nacque dalla sera alla mattina, non fu un’improvvisazione, ma una convinzione lungamente maturata. L’idea concepita nel ’36 di pescare e importare pesce del mar Rosso indica che già da allora erano presenti nella mente di Mattei due concetti fondamentali dell’economia del petrolio: l’integrazione verticale e la multinazionalità. […] Molti anni dopo, nel 1945, Mattei si ritroverà alla guida di un’azienda, l’Agip, ridotta a semplice distributrice di prodotti petroliferi che altri (le grandi compagnie petrolifere) monopolizzavano in tutto il ciclo produttivo: dalla materia prima (pozzi) al prodotto finito (trasporto, raffinazione, lavorazione). Come per gli oli della sua fabbrica, anche per l’Agip Mattei tenterà di risalire il filo produttivo mettendo le mani sulla materia prima: il petrolio.[10]  

   Dunque la carriera imprenditoriale di Mattei durante il periodo milanese può essere così riassunta: svolge l’apprendistato come venditore di prodotti per concerie; diventa il produttore di quei prodotti che precedentemente vendeva, avviando una propria attività; infine tenta il salto di qualità, cercando di far espandere la sua azienda al di fuori dai confini dell’Italia. Quest’ultimo passo non andò a buon fine, ma come si è visto, fu un esperienza che contribuì a formarlo come manager.           

   Gli anni del periodo milanese furono anche gli anni della formazione politica di Enrico Mattei; a questa formazione contribuì in larga misura Marcello Boldrini, che conobbe nel 1938. Marcello Boldrini, anche lui originario delle Marche e di Matelica, era un docente universitario di statistica all’università Cattolica. La frequentazione con questo professore contribuì fortemente alla formazione di una coscienza politica incentrata sul concetto che l’economia deve perseguire il bene comune; concezione che Mattei recepì appieno, come dimostra il fatto che, anni dopo, egli lottò per salvare l’AGIP dagli interessi dei privati e fece in modo di allontanare gli interessi di questi dalle riserve metanifere della Pianura Padana, convinto che queste dovessero essere gestite dallo Stato attraverso l’AGIP, affinché questa fonte di energia potesse essere utilizzata per il bene della collettività. L’idea che l’economia debba perseguire il bene comune inoltre Mattei la applicherà all’ENI, che, secondo la sua visione, doveva essere l’azienda dello Stato che lavora per il bene della collettività, portando al consumatore tutte le possibili fonti di energia ad un basso costo.[11]

   Ben presto Boldrini divenne il mentore di Mattei tanto da spingere quest’ultimo a riprendere gli studi; Mattei si iscrisse infatti alle scuole serali e conseguì il diploma di ragioniere. Boldrini, inoltre, inserì Mattei nei circoli politici e conobbe numerose personalità del mondo cattolico, tra cui Giuseppe Spataro, Enrico Falk, don Franco Costa, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani, Ezio Vanoni, Giorgio La Pira; insomma conobbe quelli che, anni dopo, saranno gli uomini più importanti della Democrazia Cristiana, e alcuni di loro, come Fanfani e La Pira, diventeranno suoi riferimenti politici quando sarà il presidente dell’ENI.

   La conoscenza di Marcello Boldrini forse ebbe il merito di allontanare Enrico Mattei dal fascismo. E sui rapporti che ebbe Mattei con il fascismo ritengo sia utile aprire una digressione. È certo che Enrico Mattei in qualche modo aderì, in un primo momento, al fascismo e ciò è confermato dal fatto che, nel 2007, il ricercatore Luca Tedesco ritrovò in un archivio la sua tessera di iscrizione al PNF; la data di iscrizione è il 26 ottobre 1922.[12] Ma Mattei non fu mai un fascista attivo né avrebbe potuto esserlo: come si è visto egli era animato da una forte voglia di riscatto economico e sociale; queste sue ambizioni poteva raggiungerle solo con l’attività imprenditoriale. A questo proposito sono illuminanti le osservazioni del politologo Giorgio Galli:

    […] l’attività politica nell’ambito del fascismo non avrebbe permesso a Mattei una ascesa sociale più rapida di quella che conseguì con l’attività imprenditoriale. Per questo Mattei, iscritto al partito fascista, non fu mai un fascista attivo. […] Mattei negli anni trenta si stava affermando come industriale meglio di quanto sarebbe riuscito a fare come politico, che, come tale, tra l’altro avrebbe dovuto subire il condizionamento disciplinare delle gerarchie fasciste: e […] subordinazione e disciplina non si conciliavano col carattere di Enrico Mattei. […] La politica aveva su di lui ben poco fascino, non nel senso che non approvasse la politica del fascismo, ma perché non costituiva un canale di ascesa sociale. Non si ha alcun dato per affermare che Mattei considerasse il regime fascista biasimevole per molti aspetti: esso era accettabile non solo ai più, ma anche per lui. […] Dunque Mattei era uno dei milioni di italiani che aderirono al fascismo senza prendervi parte attiva.[13]

   Per concludere, si può aggiungere alle osservazioni di Galli, che Enrico Mattei accettasse il regime fascista per via del fatto che era un imprenditore tra le cui caratteristiche vi era certamente l’opportunismo; quell’opportunismo che porta un manager a sfruttare o, comunque, a cercare l’appoggio politico per favorire i propri interessi. A riprova di questo si ricordi come Mattei cercò di ottenere dalle autorità fasciste i permessi di ricerca nel mar Rosso, allorquando tentò di far espandere la sua attività fuori dai confini dell’Italia, cioè in Abissinia, un territorio conquistato dal fascismo con una guerra. È un valido esempio di come un imprenditore possa aderire ad un regime, per quanto biasimevole esso possa essere, per mere ragioni opportunistiche. A questo proposito è interessante mettere in evidenza un altro aspetto del Mattei imprenditore, ovvero l’utilizzo della politica come strumento per raggiungere un fine. È probabilmente in questi anni, mentre lui era alla guida della sua ICL, che deve essere maturata in lui la consapevolezza che un imprenditore, sia esso pubblico o privato, deve avere l’appoggio o comunque la protezione della politica per raggiungere degli obbiettivi; appoggio e protezione che vanno ottenuti con qualsiasi mezzo. Infatti non è un caso che Mattei si rechi dalle autorità fasciste per ottenere i permessi di pesca nel mar Rosso; sicuramente aveva compreso quanto fosse importante avere l’aiuto del suo governo per raggiungere l’obiettivo che si era prefissato. Aiuti che poi non ebbe, dato che a quel tempo non era certo l’imprenditore di una certa importanza tanto da convincere le autorità di un regime dittatoriale ad aiutarlo in una attività che avrebbe permesso l’espansione della propria azienda. Tuttavia l’esperienza contribuì a formarlo, dato che fece maturare in lui la consapevolezza di quanto fosse importante per un imprenditore l’aiuto della politica. Questa consapevolezza gli sarà di grande aiuto quando, anni dopo, sarebbe diventato il presidente dell’ENI.  

Il comandante partigiano    

   Marcello Boldrini, come già detto, fu una persona fondamentale nella vita di Enrico Mattei; è stato Boldrini a dargli una formazione politica e culturale, avendolo introdotto nel mondo cattolico milanese. E non poteva non essere lui a far entrare Mattei nella Resistenza.

   L’esperienza di Enrico Mattei nella Resistenza iniziò dopo l’estate del 1943 a Matelica, nelle Marche, dove era tornato insieme a Marcello Boldrini, lasciando momentaneamente Milano; prese i contatti con il Comitato di Liberazione Nazionale locale e cominciò a svolgere alcune attività di carattere logistico, come il trasporto e la distribuzione di armi e munizioni. Ma poco dopo decise di lasciare di nuovo Matelica e di tornare a Milano insieme a Marcello Boldrini, dato che nel nord Italia la Resistenza era molto più attiva. Nel marzo 1944 Mattei, dopo che riuscì a farsi accreditare presso gli esponenti della DC di Milano da Giuseppe Spataro, dopo che venne presentato a quest’ultimo da Boldrini, prese il posto di rappresentante DC nel comando militare del Comitato di Liberazione Nazionale, posto che era rimasto vacante a seguito dell’arresto di Galileo Vercesi. Tuttavia sul Mattei partigiano vi è poco da dire ma non perché non ebbe un ruolo importante, anzi: c’è un motivo per cui Mattei, alla fine della guerra, si ritrovò a sfilare nella Milano liberata insieme ai corpi del Comitato di Liberazione Nazionale, e ricevette la medaglia di bronzo dal generale Clark per la sua azione partigiana. Quando si afferma che non c’è molto da raccontare sul Mattei partigiano è perché egli non fu il soldato del popolo che combatté la guerra di liberazione direttamente sul campo di battaglia, e quindi non si rese protagonista di particolari azioni militari quali attentati, scontri a fuoco e quant’altro;[14] Mattei svolse ben altre mansioni. Paul H. Frankel, nella sua biografia, fa, del Mattei partigiano, una breve ma precisa descrizione:

    Nei ranghi della resistenza lo troviamo alla fine della guerra in rapida ascesa verso posizioni di comando. Benché poi fosse sempre chiamato generale, il suo compito non era stato di combattere alla macchia […]. Per le sue attitudini fu portato particolarmente verso l’organizzazione delle questioni economiche e finanziarie del movimento partigiano ed entro il 1945 ne divenne in gran parte responsabile.[15]

   Dunque Enrico Mattei nella Resistenza svolse un ruolo del tutto particolare, ovvero quello di dirigente; egli si occupava di organizzare le forze partigiane, curando i collegamenti interni, occupandosi di reperire e di allocare i fondi, e, in ultimo, si occupava anche di fornire luoghi sicuri per le riunioni segrete. Tutto questo Mattei lo fece in maniera del tutto originale; assunse infatti tre false identità, e, sotto il nome di ognuna di esse, svolse un compito ben preciso. Mattei operava nella Resistenza con i nomi di Monti, Este e Marconi: con il nome di Monti si occupava di organizzare le forze partigiane e di cercare luoghi sicuri per le riunioni segrete; Este era il tesoriere e quindi, con tale nome, reperiva presso banche e industriali privati i finanziamenti che poi, con il nome di Marconi, distribuiva alle diverse formazioni partigiane. Il ruolo che ricopriva con il nome di Este era certamente il più difficile e delicato; non era facile ottenere del denaro da quelli che potevano essere dei potenziali finanziatori, e certamente era cosa assai delicata ritirare, custodire e distribuire in clandestinità ingenti quantità di denaro. Con il nome di Este svolse probabilmente il ruolo più importante e non vi è dubbio che «il suo ruolo di tesoriere del CVL fu decisivo nel raccogliere presso i grandi industriali del Nord Italia i fondi necessari all’attività del movimento partigiano».[16]

   Dunque per la Resistenza Enrico Mattei è stato «più che un condottiero, un manager».[17] Ed è questo aspetto che è interessante mettere in evidenza, ovvero il Mattei che visse l’esperienza della Resistenza non come soldato ma come dirigente. L’aver ricoperto ruoli di gestore di risorse, di tesoriere, di organizzatore di unità partigiane, certamente contribuirono a migliorare in larga misura le sue qualità di manager.


[1] Giuseppe Musolino, più noto come brigante Musolino, è stato un bandito che divenne famoso per la sua lunga latitanza, iniziata nel 1899 e conclusasi nel 1901, quando due carabinieri di Acqualagna riuscirono a fermarlo in circostanze del tutto fortunate. Il brigadiere Antonio Mattei, padre di Enrico Mattei, non contribuì direttamente all’arresto, il cui merito va attribuito agli appuntati Amerigo Feliziani e Antonio la Serra. Il merito dell’arresto poi venne anche riconosciuto al brigadiere Antonio Mattei per via del fatto che i due appuntati erano due suoi sottoposti.

[2] CARLO MARIA LOMARTIRE, Mattei. Storia dell’italiano che sfidò i signori del petrolio, Milano, Le Scie Mondadori, 2004, pp. 20-21.

[3] Questo aspetto della personalità di Enrico Mattei emerge chiaramente in alcuni dei suoi discorsi, pronunciati in diverse occasioni in veste di presidente dell’ENI. Sovente Mattei faceva riferimento o ad un’Italia povera che doveva modernizzarsi, oppure ad un’Italia che, essendo sulla via dello sviluppo, doveva dimostrare agli altri di essere un Paese dotato di grande organizzazione industriale, tanto da costituire un esempio per i Paesi detentori delle riserve petrolifere che dovevano ancora conoscere un proprio sviluppo economico. Per quanto detto, a titolo di esempio, sono significativi questi due discorsi: «[…] Noi italiani dobbiamo toglierci di dosso questo complesso di inferiorità che ci avevano insegnato, che gli italiani sono bravi letterati, bravi poeti, bravi cantanti, bravi suonatori di chitarra, brava gente, ma non hanno le capacità della grande organizzazione industriale. Ricordatevi, amici di altri Paesi: sono cose che hanno fatto credere a noi e che ora insegnano anche a voi. Tutto ciò è falso e noi ne siamo un esempio. Dovete avere fiducia in voi stessi, nelle vostre possibilità, nel vostro domani; dovete formarvelo da soli questo domani […].» (ENRICO MATTEI, Scritti e discorsi, Milano, Rizzoli, 2012, p. 983); «[…] Noi siamo dei poveri, abbiamo bisogno di lavorare e non possiamo andare più all’estero come dei poveri emigranti che non hanno altra forza che le proprie braccia. Anche noi vogliamo andare fuori come imprenditori, con l’assistenza tecnica e con tutto quello che un Paese moderno come il nostro oggi può dare […].» (Ivi, p. 777).

[4]CARLO MARIA LOMARTIRE, op. cit., p. 23.

[5] Enrico Mattei frequentò il primo anno di superiori con scarsi risultati, come si evince dalla sua pagella scolastica: prova scritta di italiano: due; prova orale d’italiano: sei; prova scritta di matematica: quattro; prova scritta di francese: sei; prova orale di francese: sei; storia: sei; Geografia: quattro; Storia naturale: quattro; Disegno: quattro; Educazione fisica: quattro. La pagella è conservata presso il Museo “Enrico Mattei”, Matelica, via Umberto I n. 9.

[6] LUIGI BAZZOLI, RICCARDO RENZI, Il miracolo Mattei, Milano, Rizzoli, 1984, p. 17.

[7]Ivi, p. 18.

 

[8] «Sono veramente dolente di questa mia decisione, per il trattamento di favore e le infinite cortesie ricevute, ma oggi la mia opera non è più nella vostra ditta perché la vostra Rappresentanza principale è stata molto bene introdotta e si è fatta conoscere nella conceria, tanto che si può dire senza pretesa che sul mercato italiano è al primo posto nei confronti delle altre case concorrenti. E qui finisce la mia opera come avevo preveduto due anni fa e cioè, come ebbi allora a dire, il giorno che la Vostra casa fosse stata bene introdotta, io me ne sarei andato. Oggi questo lavoro può essere seguito anche da personale non specializzato, perché le difficoltà dell’inizio sono state sorpassate e i prodotti sono ormai conosciuti da tutte le industrie conciarie. Oggi con il lavoro normale io non trovo più nessuna soddisfazione morale, perché a differenza di tutti gli altri io mi sento il bisogno dell’ostacolo e di far valere in certo qual modo la mia opera […]» (RAFFAELE MORINI, Enrico Mattei. Il partigiano che sfidò le sette sorelle, Milano, Mursia, 2011, pp. 31-32).

[9] CARLO MARIA LOMARTIRE, op. cit., p. 58.

[10] LUIGI BAZZOLI, RICCARDO RENZI, op. cit., p. 38.

[11] L’idea secondo la quale l’ENI fosse un patrimonio pubblico e che come azienda dello Stato dovesse lavorare per il bene della collettività, portando al consumatore fonti di energia a basso costo, emerge in diversi discorsi del presidente Mattei. A titolo di esempio è interessante citare un discorso pronunciato durante una trasmissione Rai del 12 aprile 1961: «[…] Io direi che è stato creato un grande patrimonio, perché oggi il valore dell’ENI supera di molto i 1000 miliardi ed è un patrimonio che appartiene agli italiani, ai lavoratori, ai consumatori, ai contribuenti. […] Nel mese di dicembre fui chiamato ad incontrarmi con uno dei sette grandi, a Montecarlo. Tutta la collaborazione offerta da questo illustre capo riguardava l’Italia: tenere più su i prezzi, guadagniamo tutti di più. Proprio il contrario di quello che devo fare io che sono l’esponente dell’Azienda dello Stato. Io debbo cercare di dare al consumatore tutto quello che è possibile. Io gli dissi: Ma io credo che in Italia abbiate finito di fare una politica vostra, che da adesso in avanti la faremo noi. […]» (ENRICO MATTEI, op. cit., pp. 773-776).

[12] DINO MESSINA, Un saggio di Luca Tedesco su <<Nuova Storia Contemporanea>>. Enrico Mattei, trovata la tessera fascista, Corriere della Sera, 23/6/2007.

[13] GIORGIO GALLI, La sfida perduta. Biografia politica di Enrico Mattei, Milano, Bompiani, 1976, pp. 10 -15. 

[14] Fa eccezione, in questo senso, l’episodio della sua cattura e della sua evasione. Enrico Mattei, infatti, venne arrestato il 26 ottobre 1944 a Milano da un commissario di pubblica sicurezza, mentre si trovava ad una riunione segreta che si svolse nell’ufficio di Pier Maria Annoni. Venne trasferito a Como, nel carcere di San Donnino. Forse l’arresto fu causato per una delazione della segretaria di Pier Maria Annoni, che aveva una relazione con il commissario che eseguì l’arresto. Enrico Mattei riuscì, grazie ad aiuti esterni, a fuggire dal carcere. Per approfondire l’episodio della sua evasione cfr. RAFFELE MORINI, op. cit., pp. 86-95.

[15] PAUL H. FRANKEL, Petrolio e potere: Enrico Mattei, Firenze, La nuova Italia, 1970, p. 43.

[16] ANDREA ROSSI, Un leader dimenticato del movimento di liberazione? Enrico Mattei nella storiografia resistenziale in DAVIDE GUARNIERI (a cura di), Enrico Mattei. Il comandante partigiano, l’uomo politico, il manager di stato, Pisa, BFS Edizioni, 2007, p. 17.

 [17] GIORGIO GALLI, op. cit., p. 28.

 

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